Mancano i leader
Giorgio Merlo 08:43 Giovedì 19 Giugno 2025
Ci sono due grandi elementi che differenziano, e profondamente, la vecchia - e nobile - politica dalla cosiddetta nuova politica. E i due elementi di fondo sono i partiti organizzati e radicati nel territorio del passato contro i cartelli elettorali e i partiti personali del presente. E, seconda e significativa differenza, oggi mancano soprattutto i leader. O gli statisti che dir si voglia. Mino Martinazzoli, autorevole storico esponente della sinistra democristiana, amava sempre ripetere che la “differenza fondamentale tra la prima e la seconda repubblica è che nella prima c’erano i leader mentre nella seconda sono rimasti solo più i “capi”. Un’osservazione semplice ma profondamente vera e che, purtroppo, continua ad essere molto gettonata anche nella stagione politica contemporanea. Certo, parliamo di fasi storico e politiche inconfrontabili talmente sono tante e tali le differenze. Però, e al netto delle differenze profonde, è indubbio che i leader, quando ci sono, si qualificano su due versanti ben definiti e chiari.
Innanzitutto, il leader è un punto di riferimento autorevole non solo per la sua comunità ma è riconosciuto da tutta la politica. Di qualsiasi partito e da qualsiasi schieramento o alleanza. È appena sufficiente citare, oggi, i grandi leader e statisti del passato per rendersi conto che sono stimati da quasi tutti i principali osservatori, commentatori e da larga parte della classe politica. Non per adulazione o per servilismo ma perché, appunto, il leader era una personalità politica che non si poteva non ascoltare.
E, in secondo luogo, ma il dato è altrettanto decisivo, il leader è colui - o colei - che semplicemente sa anticipare i tempi. Ha, cioè, la capacità di cogliere le dinamiche politiche, sociali, culturali, economiche e anche etiche che caratterizzeranno la società nel futuro ma che cerca, al contempo, di elaborare strategie e visioni che siano in grado di governare quei processi. Quante volte abbiamo riletto le riflessioni dei grandi leader e statisti democristiani che erano in grado di cogliere ciò che sarebbe potuto capitare nella società elaborando, di conseguenza, scelte e progetti politici ben definiti, credibili e realisticamente percorribili. L’esatto contrario, per fare un solo esempio, dei vari capi populisti e dei molteplici demagoghi che agiscono sempre e solo con la finalità di accarezzare e cavalcare gli istinti più triviali e più qualunquistici della pubblica opinione. Una differenza che separa, appunto, una politica che guarda al futuro da una prassi che si limita a guardare il presente non resistendo alle sirene e alle tentazioni propagandistiche e sguaiate.
Ecco perché quando parliamo dell’assenza dei leader nella società contemporanea tocchiamo un nervo scoperto della crisi drammatica in cui versa la politica e, nello specifico, della politica esercitata da ciò che resta dei partiti. Perché senza le leadership, di partito o di corrente che siano non fa differenza alcuna, sono gli stessi partiti che rischiano di non uscire dal pantano in cui sono precipitati. Ma i leader, com’è evidente a quasi tutti, nascono e crescono solo all’interno di comunità profondamente e marcatamente democratiche. Senza quelle comunità, come ricordava giustamente Martinazzoli verso la fine degli anni duemila, crescono solo i “capi” a detrimento, appunto, dei veri leader.