"Più poteri a Roma? Sì ma prima le Regioni". Molinari cerca di rianimare l'autonomia
Stefano Rizzi 13:41 Venerdì 01 Agosto 2025La Lega rimette in pista il suo cavallo (stanco) di battaglia. Il capogruppo alla Camera: "Intese sulle prime materie entro settembre". In Piemonte un vicedirettore ad hoc e poco altro. Intanto Romeo e Zaia alzano la posta su Milano e Venezia
Da Roma ladrona a Roma padrona. Quello con la Capitale è per la Lega, specie nella sua parte dove federalismo fa(ceva) rima con nordismo, un rapporto che carsicamente si rivela difficile, quando non conflittuale. Il simbolo della burocrazia e del centralismo sanguisuga dei tempi di Umberto Bossi oggi diventa peso da pareggiare sulla bilancia dei percorsi parlamentari con l’irrinunciabile vessillo, sia pure un po’ stinto, della Lega che è e resta l’autonomia.
“Più poteri a Roma Capitale è un giusto passaggio previsto dal titolo V della Costituzione, esattamente come lo stesso titolo V prevede l’autonomia differenziata per attribuire maggiori competenze legislative e amministrative in determinate materie alle Regioni”. La premessa, istituzionalmente impeccabile, del capogruppo leghista a Montecitorio Riccardo Molinari che si unisce al coro bipartisan di saluto al disegno di legge per dare potestà legislativa e autonomia finanziaria alla Città Eterna, è appunto il preludio alla richiesta del contrappeso.
Le intese d'autunno
Infatti, Molinari avvisa, non si sa con quale esito, gli alleati e la mai domata burocrazia ministeriale che “è giusto quindi, prima di dare a Roma più poteri, che si chiudano rapidamente le intese su Protezione Civile, Previdenza complementare integrativa, Professioni e Sanità per Piemonte, Lombardia, Veneto e Liguria”. Ovvero il quartetto di testa nella sfiancante corsa, spesso camminata lenta, verso l’autonomia regionale rafforzata. Perché, chiosa il capogruppo e segretario del partito nel suo Piemonte, “l’autonomia e la sussidiarietà sono un vantaggio per tutti”. Affermazione a dir poco contestata non solo da sinistra, ma pure da quei governatori del Sud che pur stando nel centrodestra non hanno mai nascosto i loro timori e le loro contrarietà verso quella che viene vista come un’ulteriore divisione del Paese.
La scommessa di Occhiuto
Pochi giorni fa proprio commentando il cronoprogramma leghista teso a portare la firma delle prime quattro intese entro settembre, il presidente della Calabria e vice di Antonio Tajani al vertice di Forza Italia Roberto Occhiuto l’ha giocata sulla sua generosità promettendo che "se davvero a settembre queste intese verranno firmate, siete tutti invitati a cena da me. Offro io”. E’ questo il clima, e non da oggi, in cui la Lega, con un Matteo Salvini non proprio accalorato sul tema, si trova a giocare una partita incominciata ormai tanto tempo fa e senza che qualcosa o qualcuno possa assicurare che si concluderà presto.
L’esordio della precedente legislatura regionale che riportò il centrodestra al governo del Piemonte dopo il quinquennio sotto la presidenza di Sergio Chiamparino, fu proprio nel segno dell’autonomia. L’allora neogovernatore forzista Alberto Cirio quasi si avvolse nel drapò, lo storico vessillo regionale, annunciando quello sventolato dalla Lega come la priorità dei cinque anni che sarebbero venuti. Le cose non sono andate proprio così e a parte la commissione ad hoc affidata al poi desaparecido Riccardo Lanzo, nonostante il partito di Salvini avesse incassato oltre il 37% dalle urne, l’autonomia sarebbe rimasta una chimera o quasi.
Certo molto sarebbe dipeso e dipende, ironia della sorte, proprio da Roma con i suoi tempi e la sua burocrazia dei ministeri contro la quale ha più volte puntato l’indice lo stesso Roberto Calderoli, ministro e padre dell’autonomia, ripetutamente azzoppata nei vari passaggi. Resta il fatto che ancora oggi, mentre la Lombardia tira dritto sulla tassa sulla salute al 3% da imporre ai frontalieri con la Svizzera e prepara condizioni economiche migliori per attrarre medici e infermieri in una sorta di autonomia di fatto già in corso, in Piemonte si va al traino, con una forza e una rapidità se possibili ancora minori rispetto al passato non foss’altro che per via del ribaltamento dei pesi tra la Lega e i Fratelli d’Italia.
La tenaglia del Lombardo-Veneto
Il partito di Salvini ha ottenuto la delega in materia, assegnata all’assessore Enrico Bussalino che a breve potrà giovarsi di un vicedirettore ad hoc. Fabrizio Bruno, storico funzionario del gruppo consiliare della Lega a Palazzo Lascaris e compagno di sventura giudiziaria di Molinari, poi risoltasi con le piene assoluzioni, legata alle firme delle liste per le comunali di Moncalieri, sarà l’uomo che dovrà seguire i dossier dell’autonomia. La sua nomina, si dice molto caldeggiata dallo stesso segretario regionale, è certo un rafforzamento della struttura. Ma la concorrenza delle stesse Regioni del Nord, proprio sul fronte caldo della sanità, a partire dalla confinante Lombardia, forte di risorse come e più del Veneto, sarà una questione che potrebbe risultare spinosa per un Piemonte oggettivamente più debole.
Non è un caso se, in risposta alla modifica costituzionale dello status di Roma Capitale, il capogruppo al Senato della Lega, nonché segretario regionale per la Lombardia, Massimiliano Romeo ha annunciato un disegno di legge, sempre di rilievo costituzionale, per maggiori poteri per Milano. E da Nord Est Luca Zaia ha subito messo le mani avanti dicendo che “è indispensabile aggiungere anche Venezia”.


