REGOLE DEL GIOCO

Sindaci al primo turno, la destra stringe i tempi: incubo per Lo Russo

In Commissione già votato un terzo degli emendamenti, testo atteso in aula a Palazzo Madama entro l'anno. Meloni vuole il nuovo sistema già per le prossime comunali. Cancellato anche il voto disgiunto. Centrosinistra obbligato a unirsi da subito

Il centrodestra stringe i tempi e il centrosinistra è obbligato ad allargare quanto più possibile il suo campo. Strategie e conseguenze della futura legge per l’elezione dei sindaci che divide e oppone maggioranza e minoranza, alzando la temperatura già in questa fase dell’iter parlamentare del testo.

In commissione Affari Costituzionali del Senato il pressing imposto da Giorgia Meloni attraverso i suoi ha portato a votare già un terzo degli emendamenti che dovrebbero essere completati nel giro di un mese confermando la tabella di marcia scritta da Fratelli d’Italia e alleati per portare il testo al voto dell’Aula di Palazzo Madama entro la fine dell’anno. L’obiettivo dichiarato è il voto alla Camera in tempo utile per applicare la nuova norma alle prossime elezioni. È li che la premier intende mettere a terra la strategia che intende applicare anche al futuro Melonellum, ovvero la legge elettorale per il Parlamento. 

Fulcro del cambiamento e rospo indigeribile per il Pd e il resto delle minoranza è quella soglia abbassata dal 50 al 40% sopra la quale non scatterà più il ballottaggio per eleggere il sindaco al secondo turno. Combattere l’astensionismo in crescita costante e scongiurare il rischio che il primo cittadino venga eletto al secondo turno con meno voti di quelli presi dall’avversario nella prima tornata elettorale. Questi i motivi ufficiali addotti dal centrodestra a sostegno di una riforma che andrà a cambiare un sistema in uso da oltre trent’anni e considerato, senza difficoltà peraltro, il migliore tra quelli in uno nel nostro Paese. 

La ragione più vera e concreta sta nel fatto che la storia delle elezioni insegna come il centrodestra da sempre dà il massimo al primo turno ed esaurisca lì le due capacità di aggregazione che, invece, il fronte opposto riesce spesso ad esprimere coalizzando due settimane dopo il primo voto liste, candidati ed elettori fino ad allora andati per loro conto.

Non è difficile, pertanto, comprendere l’ostracismo che quando possibile si trasforma in ostruzionismo del centrosinistra contro una modifica i cui effetti pesantemente negativo non sfuggono anche a chi non è un grande esperto di meccanismi elettorali. In quello su cui sta accelerando il centrodestra non sarà solo (si fa pe dire) la soglia a cambiare, ma un colpo di spugna verrà dato pure su una facoltà peraltro non poi così utilizzata dall’elettore medio, ma che un certo peso lo può comunque avere. 

Sparirà la possibilità del voto disgiunto ovvero quella di votare un candidato sindaco e nello stesso tempo per una lista avversaria, ma ad essere eliminata sarà anche l’opzione del voto dato soltanto al candidato sindaco senza esprimersi su alcuna lista. Se il voto disgiunto per la destra è un fattore di instabilità, da sinistra il senatore del Pd Dario Parrini ribatte spiegando che loro, la maggioranza di governo, “ritengono di avere mediamente candidati sindaci meno attrattivi rispetto a quelli del centrosinistra e per questo escogitano un meccanismo che porta a far contare meno il sindaco e più le liste”. 

Sempre dal Pd si denuncia una penalizzazione per quegli elettori che dal 1993 ad oggi hanno espresso il loro voto solo per il sindaco, ma all’opposizione è chiaro come sia una battaglia dalla vittoria pressoché impossibile quella volta a impedire la riforma irrinunciabile per Giorgia Meloni, così come impedirne la sua messa in atto già dalle prossime elezioni comunali. Al centrosinistra, quindi, non resta che attrezzarsi per fare i conti con quel 40% sopra il quale scatta l’elezione del sindaco al primo turno. E per farlo il campo largo non solo deve essere tale, la potenzialmente in grado di ampliarsi ancora. In caso contrario il destino, in gran parte dei casi, appare segnato. Roba da far fischiare le orecchie a molti, partendo proprio da Stefano Lo Russo che in questo scenario e con le premesse di veti e controveti in grado di stringerlo anziché allargarlo il campo, ha più di un motivo per preoccuparsi. Ma, per contro, il sindaco di Torino ha anche uno strumento di pressione sugli alleati più che concreto e convincente.

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