Piazze piene, urne vuote
Giorgio Merlo 12:00 Giovedì 09 Ottobre 2025
Sì, lo conosciamo tutti quell’antico slogan coniato da uno dei più grandi ed autorevoli leader del socialismo italiano, Pietro Nenni. E cioè, “piazze piene e urne vuote”. Una metafora, che era già quantomai calzante e moderna nell’immediato secondo dopoguerra e che è rimasta tale anche nella stagione politica contemporanea. Uno slogan che ha sempre accompagnato e caratterizzato prevalentemente, se non quasi esclusivamente, il mondo e l’universo della sinistra italiana in tutte le sue molteplici sfaccettature. Certo, si tratta di un mondo molto variegato al suo interno, anche e soprattutto quando si parla delle piazze e delle continue e ripetute manifestazioni organizzate dai partiti della sinistra, dai movimenti collaterali o dal sindacato di riferimento, ovvero la Cgil. Non possiamo dimenticare, al riguardo, gli attacchi frontali alla Democrazia Cristiana che, per lunghi 50 anni, hanno contraddistinto il comportamento politico di tutto ciò che era bene o male riconducibile all’universo comunista. Piazze sostanzialmente democratiche e pacifiche quando erano organizzate dai partiti e dai sindacati dell’epoca. Piazze violente quando erano gestite da settori consistenti dell’estremismo di sinistra che sono poi sfociate, com’è ormai universalmente riconosciuto – anche se in quegli anni ci si limitava alla blanda denuncia dei “compagni che sbagliano” – nella stagione cupa e drammatica del terrorismo.
Ma, per tornare all’oggi, esiste una stretta correlazione tra la piazza, e tutto ciò che la circonda, e il consenso elettorale ai partiti e alla coalizione/alleanza di riferimento? Che, nello specifico, è sempre e solo la sinistra del momento. Certo, anche le piazze cambiano. Cambia la sua composizione sociale, culturale e politica. Cambiano, soprattutto, le motivazioni che spingono le persone a scendere in piazza. E, infine, cambiano le richieste della piazza alla politica. Comunque sia, è indubbio che la piazza era, e resta, importante per la vita democratica di un paese. Sin quando la piazza, però, non sfocia nel ricorso sistematico alla violenza. Quella violenza, purtroppo, che si scaglia puntualmente contro le Forze dell’Ordine, contro il Governo del momento e i suoi principali leader e anche e soprattutto contro qualsiasi bersaglio che possa anche solo lontanamente apparire come un nemico legato al potere e all’establishment. E il contesto di oggi, al di là delle singole opinioni e delle varie valutazioni - tutte legittime, come ovvio
- evidenzia delle azioni che possono sfociare in qualsiasi direzione. Anche in quelle più drammatiche che abbiamo conosciuto nel passato. Pur sapendo che ogni stagione storica è figlia del suo tempo e non si ripete quasi mai meccanicamente. Anche se, è inutile negarlo per ragioni ideologiche, la violenza teorizzata e praticata rischia sempre di finalizzare le sue gesta con atteggiamenti e comportamenti noti e drammatici.
Ma, per tornare al rapporto tra piazza e consenso elettorale, non si può non evidenziare che anche questa volta, almeno stando alle tre consultazioni regionali che si sono svolte in queste ultime settimane, non c’è una correlazione sistematica e lineare tra le imponenti manifestazioni di piazza – come quelle a cui abbiamo assistito in queste ultime settimane – e il relativo e conseguente comportamento elettorale. Per dirla in breve, alle piazze di sinistra, perché di questo si tratta, non è corrisposta, almeno sino ad oggi, un significativo consenso elettorale ai partiti di riferimento. E questo perché nelle Regioni in cui si è votato – fuorché si considerino quelle Regioni un’appendice del tutto marginale e periferico rispetto al quadro nazionale – hanno vinto massicciamente i partiti di centro destra e le rispettive coalizioni. Un elemento, questo, che accomuna, e paradossalmente, il passato della prima repubblica con questa turbolenta e complessa stagione politica. Ecco perché, forse, il vecchio Nenni continua ad avere ragione.


