"Resta in Piemonte, niente fuga", manovre per trattenere Cirio
07:00 Domenica 12 Ottobre 2025Sono note le ambizioni nazionali del governatore ma in Forza Italia vogliono stopparlo per evitare di perdere il baluardo al Nord. Spingono per farlo restare fino al 2029, offrendogli la segreteria regionale del partito e la candidatura europea. Ma lui...
Tutto come da copione, anzi meglio. Giorgia Meloni ha aspettato che il suo fedelissimo Francesco Acquaroli portasse a casa la riconferma nelle Marche prima di aprire i giochi per la prossima tornata delle Regionali. Un via libera calcolato, scandito come un rosario elettorale: la Campania con Edmondo Cirielli lanciato in versione anti-Fico; la Puglia dove a sfidare Antonio Decaro sarà un civico, l’imprenditore Luigi Lobuono, gradito a Forza Italia; e soprattutto il Veneto del dopo-Zaia, dove per far scattare il semaforo verde per Alberto Stefani la premier ha preteso e ottenuto da Matteo Salvini un impegno scritto che suggella lo scambio con la Lombardia.
Perché è lì, al Pirellone, che l’inquilina di Palazzo Chigi punta il mirino. Ufficialmente la partita lombarda si aprirebbe nel 2028, ma la premier vuole incassare la cambiale già nel 2027, quando si voterà per le Politiche. Un’operazione chirurgica: scambio con la Lega sul Veneto (facendo però incetta di assessorati), voto anticipato in Lombardia, strategia “entrista” nel Nord produttivo. Un anticipo studiato a tavolino, contrabbandato da gesto di “appeasement” verso l’alleato leghista, che rappresenta una vera ipoteca sulla Regione più importante del Paese. Troppo ghiotta per lasciarla agli alleati minori, troppo lontana la scadenza naturale per attendere.
Cirio guarda a Roma
Un’operazione che, mentre consolida la leadership meloniana, alimenta però tensioni interne alla coalizione. Anche il Piemonte entra nel gioco, seppur di sponda. Alberto Cirio, il governatore azzurro, guarda da tempo verso Roma. Il suo disegno è chiaro: presentarsi alle Politiche del 2027 ancora da presidente in carica, ufficialmente per tirare la volata a Forza Italia, ma con la porta aperta su Montecitorio o Palazzo Madama. La legge glielo consente: eletto deputato o senatore, avrebbe tre mesi per decidere se restare in Regione o sedersi sugli scranni parlamentari. E lì si giocherebbe la vera partita, tra un ministero di peso, come l’Agricoltura, o addirittura una delle due poltrone più alte delle Camere.
Una mossa che, se realizzata, avrebbe un effetto immediato: portare il Piemonte al voto anticipato, non di due ma di un solo anno, nel 2028. Secondo Cirio in fondo non sarebbe poi la fine del mondo. A traghettare la Regione ci penserebbe la vicepresidente Elena Chiorino, meloniana di ferro. Sempre che non decida anche lei di abbandonare la baracca per salire sul treno romano, come già si mormora. Ma a quel punto con un rimpastino si rimetterebbe tutto in carreggiata, addirittura prefigurando gli equilibri successivi al responso delle urne.
Antonio il Tentenna
Fin qui tutto sembrava filasse liscio. Ma nelle ultime settimane il quadro si è complicato. Lo stesso Antonio Tajani, dopo aver inizialmente assecondato le ambizioni del suo vice, si sarebbe fatto più prudente. Il timore è che le “fameliche fauci” della capa di FdI finiscano per divorare anche la leadership azzurra e magari perdere l’unico bastione del Nord di un partito concepito dal cavaliere all’ombra della Madunina ha orma il suo baricentro nel Centro-Sud. Soprattutto, ragiona il vicepremier ciociaro, più si va avanti e più è probabile che la “bolla” Meloni prima o poi si ridimensioni, o almeno è quanto lui si auspica. E infatti, in Forza Italia, i malumori crescono persino tra i “ciriani”, sempre meno allettati dall’idea di una fuga anticipata del loro presidente.
Parola di ventriloquo
Nel Transatlantico, tra i capannelli dei deputati piemontesi, Roberto Rosso – più noto come “Red Patacca”, per distinguerlo dall’omonimo ex coordinatore berlusconiano – lo dice chiaro e tondo: «Alberto alla fine finirà il mandato». Una convinzione che, evidentemente, rispecchia quella del ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, segretario regionale di Forza Italia, di cui Rosso ne è il fedele attendente e ventriloquo. Insomma, la strategia è chiara: spingere Cirio a togliersi dalla testa di mollare anzitempo.
Capo del partito
Gli argomenti, va detto, non mancano: rischiare la Regione per una fuga anticipata è azzardato, e gli elettori di solito non amano chi lascia una poltrona per un’altra. Così, per convincerlo, in Forza Italia provano con le lusinghe: offrirgli la segreteria regionale di FI quando il prossimo anno si terranno i congressi, quando verosimilmente Zangrillo sarà costretto a mollare. Con le mostrine di capo del partito appuntate sul petto, Cirio potrebbe poi candidarsi alle Europee del 2029. Ma per il governatore la prospettiva non è quel che si dice entusiasmante. Tornare a Bruxelles – dove è già stato dal 2014 al 2019 – non lo fa saltare di gioia. Tanto più che, in vista di un inevitabile rinnovamento della compagine ministeriale in caso di riconferma del centrodestra al governo del Paese, potrebbero aprirsi praterie per chi, come lui, interpreta il nuovo corso di un centrodestra meno ideologico e più moderno. E su di lui, da più parti – compresa la famiglia Berlusconi, tendenza Marina – si concentrano aspettative nella convinzione che possa giocare un ruolo centrale nel futuro azzurro. L’offerta di diventare segretario regionale, poi, ha il sapore di una polpetta avvelenata: significherebbe rinunciare ai gradi di vicesegretario nazionale, proprio nel frangente in cui il partito è al centro di un processo di rinnovamento destinato a ridisegnare assetti per il prossimo lustro.
Treno da non perdere
Insomma, Cirio non intende perdere il treno, anzi vuole salirci per primo. Ma il binario lo sceglierà lui. Tra Roma e Bruxelles, tra il Grattacielo e Montecitorio, ma soprattutto farà di tutto per “sottrarsi” dalle trappole – come dicono in gergo – e non farsi incastrare. E mentre Meloni ridisegna la geografia del centrodestra da nord a sud, il governatore piemontese medita la prossima mossa. Perché nella partita politica, ogni casella vale un futuro politico.


