Ricostruire un centrodestra competitivo

Nel travagliato mondo del centrodestra italiano (la cui fotografia attuale è di “still life”, natura morta) preme impetuosa una questione di metodo. Il metodo per una scelta, LA scelta, quella che incombe nel tempo sempre più stretto: la scelta del candidato premier, che nelle intenzioni di tutti deve essere condivisa e discussa dal basso, presa nelle piazze e non nelle torri d’avorio dei partiti.

In una parola, le primarie. Uno strumento che nel centrodestra non ha mai attecchito, complici l’atavica diffidenza per lo strumento, il timore di scimmiottare la sinistra, il pericolo che intrusi si impadroniscano della stanza dei bottoni.

Ma è venuto il momento di una svolta. Il tema suona conturbante ad un popolo stanco, fiaccato da anni di sconfitte e divisioni, sparpagliato tra l’antipolitica, l’ascarismo interessato, il disarmante astensionismo, la silenziosa adesione al partito liquido renziano. Una diaspora che si potrebbe contenere se si potesse individuare il luogo del dibattito. Ed è qui che le primarie assumono un’altra finalità, oltre a quella di essere mezzo tecnico per la selezione della classe dirigente: possono aggregare, rilanciare e diffondere il pensiero di quell’elettorato perso nelle nebbie.

I principali sponsor delle primarie hanno nomi e cognomi precisi: Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che inneggiano alle primarie e alla loro portata risolvente e taumaturgica, mentre il resto del centrodestra sonnecchia e temporeggia.

Ma ci siamo chiesti, invece, quali riflessi abbiano in Alessandria le parole di Salvini?

Il centrodestra è alle prese con la scelta del candidato sindaco per le prossime elezioni amministrative. Sono usciti un paio di nomi consistenti, bruciati dalle circostanze soggettive e ambientali, e tutto è di nuovo nelle mani dei segretari dei partiti, modus operandi che sempre più si deplora. E allora, quale misteriosa dissociazione impedisce che ciò che propugna Salvini a Roma o Bruxelles non possa essere replicato ed applicato ad Alessandria?

La situazione del centrodestra della nostra città è la perfetta riproduzione in scala di quanto sta avvenendo in Italia. Una guerra di successione per raccogliere il testimone e riportare il centrodestra a vincere. Ma perché questo obiettivo sia a portata di mano bisogna scegliere la persona giusta, e per scegliere la persona giusta ecco che ritorniamo al discorso sul metodo.

Non pecchi di superbia chi fa politica. Se una coalizione vuole rilanciarsi, ha l’obbligo di uscire, di farsi vedere tra la gente, di condividere la selezione del candidato.

Non ci risulta che ad Alessandria vi sia un soggetto che sbaraglia ogni altro eventuale concorrente, imponendosi come il candidato naturale. C’è una cerchia di personalità spendibili. Perché non si approfondisce il tema delle primarie? Perché il centrodestra alessandrino non ha il CORAGGIO e lo slancio di esplorare, per primo o tra i primi a livello nazionale, questo terreno?  L’Udc, da tempi non sospetti, ha lanciato la proposta: i più rappresentativi dei partiti, e dei gruppi civici di area, si possono cimentare nella gara, che deve avere regole chiare e scritte a quattro, dieci, sedici mani, coinvolgendo in un’opera corale tutti gli attori, che si impegnano a sostenere il vincitore.

Ridursi a un’estenuante caccia all’uomo, senza mai accontentare le pretese degli altri, per i malcontenti sul metodo, i mal di pancia sull’abbandono di un identikit in favore di un altro, senza contare la scarsa motivazione di un candidato che non gode di un appoggio plurale, condanna il centrodestra all’irrilevanza.

Ci vuole uno scatto, ed è incomprensibile come gli ambienti da cui si frena a questa limpida modalità di scelta siano gli stessi che si riferiscono, a livello nazionale, a quelle forze che più di tutti imbracciano il megafono per chiedere le primarie.

Se il meccanismo non è accolto dal centrodestra locale per la scarsa familiarità o il timore di inquinamento, si opti per un’altra modalità di costruzione e condivisione del consenso, come potrebbe essere una rilevazione da sottoporre agli alessandrini. Un sondaggio tra gli aspiranti candidati, per testare il gradimento e la conoscibilità.

E ancora, in alternativa, la scelta del candidato può passare attraverso assemblee aperte con i cittadini, delle “Leopolde” alessandrine dove i candidati possano proporre la loro ricetta, e ricevere le “pagelle” dei partecipanti. Un #opencentrodestra diffuso, che si ripeta in quelle che furono le circoscrizioni cittadine, per stringere un vero link con il territorio.

L’Udc crede nello sforzo comune di ricostituire un centrodestra competitivo, sull’onda della campagna ideale e valoriale comune che ha portato alla giusta bocciatura della riforma costituzionale; sforzo proseguito con le elezioni provinciali. In entrambe le occasioni, tengo a precisare, le battaglie erano contrassegnate dalla volontà di coinvolgere i cittadini nei processi decisionali, in tempi di riforme che comprimono la rappresentatività.

Il dibattito deve uscire dalle sezioni dei partiti e dalle sedi delle associazioni, deve rincorrersi per le strade, passare di persona in persona come le strette di mano. Si interpellino i cittadini, il cui ruolo non può e non deve ridursi alla segnalazione seriale dei malfunzionamenti e delle buche nelle strade, perché quello è solo un simulacro di Partecipazione; e non lasciamo che questo concetto, cugino primo della Libertà, finisca per essere appannaggio dei finti artefici della democrazia diretta, in realtà telecomandati da un server.

*Stefano Barbero, vice segretario provinciale Udc Alessandria

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