Liste d'attesa, la ricetta di Asti

L’Asl di Asti annuncia che prossimamente, per visite ed esami di alcune specialità, si passerà dal “tempo zero” ad un’altra modalità di accesso. Un provvedimento atteso: il tempo zero, a fronte di limitati vantaggi per pochi, stava determinando numerosi evidenti disagi per tanti pazienti e per tutto il personale sanitario e amministrativo. Il nuovo sistema di prenotazione, così come previsto, non differisce molto da quello antecedente all’introduzione del tempo zero: il medico inviante dovrà indicare sull’impegnativa se la prestazione che richiede è urgente (da eseguire entro 72 ore), da tempi brevi (10 giorni), differibile (entro 30 giorni le visite, 60 gli esami), programmabile (quando si può). A mio giudizio un’impostazione che può dare buoni risultati, potenzialmente efficace ma esclusivamente a condizione che si incida allo stesso tempo e in modo radicale sull’appropriatezza delle richieste.

L’esperienza degli anni passati, infatti, ci ha inesorabilmente dimostrato che, per rendere accettabili i tempi di attesa, è sì necessario ottimizzare la risposta delle strutture specialistiche (personale, orari di apertura, dislocazione, spazi), ma non è sufficiente: se le richieste di visite e di esami che ad esse pervengono non sono appropriate i tempi di attesa comunque non si riducono. Appropriate significa che devono rispondere essenzialmente ad alcuni requisiti: essere richieste se e quando la consulenza è indispensabile al medico di famiglia per la gestione del caso clinico, il quesito va espresso dettagliatamente e corredato di tutte le note cliniche e anamnestiche utili, i tempi entro cui si richiede l’esecuzione devono essere in funzione esclusivamente della situazione clinica del paziente. Questo ovviamente in molti casi già oggi avviene, ma in un contesto generale sicuramente e necessariamente migliorabile: se questo non si verifica, nel giro di pochi mesi i centri di prenotazione saranno nuovamente travolti dalle richieste, le agende ingolfate e i tempi di attesa di nuovo troppo lunghi, e allora disagi per tutti e proteste, il più delle volte giustificate.

L’Asl giustamente tiene in debito conto questo aspetto sostanziale, e prevede di istituire un’adeguata sinergia con i medici di famiglia. Come potrebbe attuarsi questa sinergia? Intanto, con la nuova classificazione, per fortuna viene restituita loro la possibilità di valutare appieno l’esigenza di esami e accertamenti specialistici per il paziente, e di deciderne il grado di priorità, a tutto vantaggio di chi ha più bisogno. Nella nostra Asl, come anche altrove, buoni risultati in termini di appropriatezza sono stati già raggiunti per le prescrizioni farmaceutiche, attraverso incontri e valutazioni condivise: non si vede perché questo non possa verificarsi anche per gli accertamenti di secondo livello, quali sono esami e visite specialistiche. Certo aiuterebbe molto i medici di famiglia riappropriarsi di tempo da dedicare ai pazienti, affrancandoli dalle tante incombenze burocratiche attualmente a loro carico (es. compilazione di piani terapeutici, certificazioni, ripetizione di ricette ecc.). A questo scopo magari sarebbe utile anche l’ausilio di personale amministrativo adiuvante, per l’esecuzione di attività burocratiche varie (la mera redazione beninteso): una sinergia operativamente niente affatto impossibile, visto che oltretutto una buona parte di medici già ora opera in gruppi e associazioni che si avvalgono dell’aiuto di personale non medico messo in comune.

Tempo in più per i pazienti che può significare, insieme a tante altre cose, anche una miglior appropriatezza prescrittiva. E, al di là di questo obiettivo, quale medico, sul territorio o in ospedale, non vorrebbe meno mansioni “amministrative” e più attività “da medico”, visto che oltretutto arrivarci è costato almeno una decina di anni di studio e di fatica a lui, e un mucchio di soldi allo Stato?

*Mario Alfani, già medico di Medicina Generale, dirigente ospedaliero di 1° livello, specialista ambulatoriale di cardiologia

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