Fronte comune per Torino

Caro Direttore,
leggo con colpevole ritardo il pezzo di Giorgio Merlo sulla differente qualità e peso politico tra i ministri di oggi e quelli della Prima Repubblica. Il prof. Giuseppe Bracco storico della economia piemontese potrebbe raccontare quante risorse arrivavano da Roma in quell’epoca a Torino. Io però vorrei aggiungere un’altra considerazione. Purtroppo oggi abbiamo parlamentari che non riescono a fare sentire la voce di Torino e del Piemonte in Parlamento e col Governo.

Nel corso del dibattito della fiducia al Governo Conte 2 mi sarei aspettato discorsi chiari e forti sulla crisi di Torino, sulle prospettive difficili del settore auto e sulle ricadute sulla economia locale dell’indotto al commercio etc. Era l’occasione di chiedere un Piano Industriale dell’auto oltre a dettagliare meglio i discorsi sull’Area di crisi.

Torino non ha mai avuto un periodo così lungo di bassa crescita. Capisco che qualcuno non voglia parlarne perché avrebbero dovuto accorgersene le Amministrazioni locali nei dieci anni passati ma qui la situazione rischia di diventare pesante. Oltre alla crisi che prospettive vi sono per la Magneti Marelli, per il Comau, per l’Iveco? Torino è un problema nazionale se non si riprende Torino si potrà riprendere l’economia del Sud?

Per fortuna con le grandi manifestazioni Sì Tav e con il voto del Senato del 7 agosto la Tav l’abbiamo salvata ma ora occorre accelerare i tempi e dialogare meglio del passato con i valsusini. Io mi aspetto molto dalla nuova Giunta Regionale di Cirio che, non avendo responsabilità per il passato e avendo il vantaggio di conoscere bene come usare i fondi europei, possa  mettere sul piatto il peso della sua energia.

A Cirio consiglierei di convocare come Regione tutte le aziende piemontesi, a partire da quelle manifatturiere, al Teatro Nuovo, come si fece nel 1976 quando vi era una crisi dopo la guerra del Kippur e quando i libici entrarono nel capitale della Fiat. In prima fila allora c’erano gli Agnelli, De Benedetti, Donat-Cattin, Bodrato, Calleri, Botta, Picchioni, Bozzello, La Ganga, Zanone, Altissimo oltre i sindacati e le associazioni produttive.

Farsi dire direttamente dagli imprenditori, sia quelli più innovativi che da quelli che non hanno ancora una dimensione internazionale, cosa hanno bisogno per rilanciarsi e diventare più competitive è la cosa migliore per poter fare le scelte giuste già entro l’anno. Tieni conto che oggi il nostro export, l’unico settore che ci tiene su, è appannaggio di solo il 20% delle aziende. Se riusciremo a raddoppiare le aziende esportatrici potremmo crescere di più e creare nuovi posti di lavoro. Anche perché dai 5 Stelle al ministero dell’Industria è difficile possa arrivare qualche idea luminosa.

*Mino Giachino. Sì Tav Sì Lavoro

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