È la città il nostro bene comune

Tempo fa Maurizio Maggiani scriveva su L’Espresso che non riusciva più a pronunciare la parola sinistra “perché da tempo la sinistra non la vedo, non la sento, non la tocco più”. La globalizzazione ha cambiato le carte, le crisi economiche, la ricetta europea sbagliata dell’austerity, la stagnazione degli ultimi vent’anni, sottovalutata dalla metà della Città che sta bene, per usare la felice intuizione di Mons. Nosiglia e ora il Covid hanno scatenato l’egoismo come prima forma di difesa. Un egoismo che è dentro tutto e tutti, destra e sinistra e che ha portato una persona sprezzante e insensibile come la sottosegretaria Castelli a dire ai ristoratori di cambiare mestiere. Un egoismo che rischia di spaccare la nostra società. La politica dei Dpcm avallata o sopportata anche dal Colle più alto, sta dividendo il Paese per aree geografiche, per categorie, e dentro le categorie, sta mettendo tutti contro tutti. Bravo anche se isolato il cardinale di Bologna che rilancia la solidarietà. Senza solidarietà il Paese e Torino ritorneranno indietro, molto indietro.

In questa situazione a mio modesto parere la differenza la farà la capacità di capire ciò che sta capitando e di andare al di là dei dati. Ha ragione il Centro Einaudi a dire che il costo della crisi sarà superiore alla perdita di 10 punti di Pil. Le conseguenze collaterali saranno molto pesanti. A partire dalle 70.000 aziende cui le banche non hanno concesso il credito da 25.000 euro nonostante fosse garantito al 100% dallo Stato. Questo secondo lockdown le metterà fortemente a rischio con i loro 500.000 posti di lavoro. Le banche a partire da quelle torinesi sono nate per sostenere il territorio e le sue energie, stride che abbiano risultati enormi e che contemporaneamente più della metà del Paese stia male. Le Fondazioni bancarie torinesi sono il sostegno maggiore per la ricerca e la cultura ma forse con i 5 miliardi versati al territorio negli ultimi vent’anni si poteva ottenere di più.

Ora le due priorità sono la salute e il lavoro. Con il lavoro che è diventato la prima medicina per la nostra salute. Per ritornare a Maggiani, la sinistra il tema del lavoro se lo è scordato da un pezzo, in particolare il lavoro per chi non lo ha o lo ha in misura ridotta. I tagli maggiori alla sanità sono stati fatti negli ultimi dieci anni, anni in cui hanno governato i professori e la sinistra. Le infrastrutture che oggi, dopo le nostre battaglie per la Tav, per tutti sono finalmente diventate strategiche, sono state osteggiate da sempre dalla sinistra.

Destra e Sinistra come il Centro rimangono nell’immaginario collettivo e a volte vengono sapientemente rilanciate, come abbiamo visto fare da Trump o dalle Sardine, ma i risultati concreti, modesti. Ciò che emerge è la grande debolezza dei governi a rispondere ai problemi imposti dalla globalizzazione e dalla comunicazione globale. Purtroppo la qualità dei governi nazionali e locali è calata notevolmente, sia grazie al voto degli italiani sia perché i partiti hanno rinunciato alla selezione qualitativa dei propri eletti. Le energie migliori le troviamo più che nei salotti, nella società civile, senza  le associazioni caritatevoli della società civile le trentamila famiglie che non hanno da mangiare oggi a Torino, non mangerebbero.

Lo dico alla vigilia dei due anni dalla prima grande manifestazione per la Tav. Me la ricordo bene quella prima piazza della Tav, la osservavo mentre parlavo e mi dava la carica, anche se qualcuno, che non aveva ben capito la situazione, voleva che io stringessi. In quella piazza c’era la voglia e la forza per rilanciare Torino e il lavoro, un lavoro per tutti. In quella piazza c’era una speranza così forte che dava la serenità a tutti. Non un insulto, non una sbavatura. Pochi ci credevano, nessuno aveva mai avuto il coraggio di organizzarla. Qualcuno ha fatto di tutto per depotenziare quella piazza e ora si trova nella cacca. Con una città impaurita dal virus, una città che si sente indifesa sanitariamente ed economicamente, una città dove ognuno vuole fare la sua protesta, la sua manifestazioncina, e poi alla sera si trova malinconicamente davanti al Tg regionale a sentire dati e racconti tristi.

Ma l’energia vera di quella piazza c’è ancora e potrà essere utile, se non decisiva, per rilanciare la città indebolita dagli errori delle amministrazioni, dall’abbandono di alcune sue grandi aziende, dalle crisi economiche e ora dal Covid. Perché se vi andate a sentire i discorsi in quella piazza non c’era solo la Tav c’era una visione sul futuro di Torino e del Paese. E noi siamo stati abituati ad ascoltare anche le proposte e le idee intelligenti, ma senza quella infrastruttura tutto si ferma al “pian di babi”.

Cinque anni fa, ieri, eravamo pochissimi attorno all’Arcivescovo che scioperava per il lavoro in piazza Castello, ma il seme ha attecchito e due anni fa eravamo in quarantamila per la Tav e per il lavoro. Sperare si può e si deve soprattutto se si hanno passione e un progetto forte per il rilancio dell’economia e del lavoro, il vero bene comune per Torino.

*Mino Giachino, Sì Tav Sì Lavoro per Torino

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