Tradizioni da custodire, davvero

Caro direttore,
ho letto con piacere nell’ultimo articolo comparso sullo Spiffero relativo alle vicende della Chiesa torinese il riferimento alla figura di monsignor Attilio Vaudagnotti, ricordandomi come ogni domenica la mia famiglia partecipasse alla Santa Messa che lui celebrava presso la chiesa della Santissima Trinità, come ricordo la sua continua opera di formazione spirituale con la pubblicazione de L’Amanuense della Santissima Trinità (chissà se qualcuno ne ha la raccolta?).

Non eravamo certo in contrasto con la Chiesa per la partecipazione al rito tridentino, quello con la Messa celebrata dal sacerdote dando le spalle al popolo per intenderci.

Dopo la riforma conciliare che appunto aveva introdotto la messa in vernacolare – in italiano per noi – ed orientato il sacerdote verso i fedeli (quanti danni alle nostre belle Chiese...) si era sviluppato in tutto il mondo il movimento “Una Voce”, che criticando questa scelta voleva semplicemente rimanere legato all’antica tradizione, peraltro senza mettere per nulla in dubbio l’autorità papale e l’unità con la Chiesa cattolica, anche se come noto ci furono movimenti più profondi come quelli che fecero riferimento al vescovo francese Lefèbvre, ma sostanzialmente chi partecipava alla messa tradizionale riteneva che anche quell’aspetto liturgico fosse una parte della testimonianza cristiana.

“La bellezza ci salverà” si dice spesso e proprio la bellezza dell’antica liturgia e della sua capacità di trasferire al fedele il senso profondo di quello che stava vivendo partecipando alla Messa era il centro della scelta di partecipare al rito antico, la cui bellezza non può essere messa in discussione di fronte alla sciatteria dei riti che dopo il 1970 sono venuti ad imporsi nelle nostre chiese, che progressivamente forse anche per la povertà di tali liturgie si sono svuotate.

Arriva ora Traditionis Custodes e mi viene subito da notare che ci sono delle leggi o delle norme – ed un Motu Proprio ha una funzione normativa – che nascono con un obiettivo chiaramente diverso dalla propria titolazione, anzi opposto: mi viene in mente la legge 194/78 sull’aborto che titolata “norme per la tutela sociale della maternità.....” è stata invece lo strumento per consentire 100.000 morti l’anno negli ultimi quarant’anni per un totale di 4 milioni di bambini uccisi dal nostro egoismo.

Traditionis Custodes dà subito l’idea di qualcuno che voglia difendere le tradizioni ed invece questo Motu Proprio di Papa Francesco le tradizioni le uccide, tra l’altro contraddicendo l’idea stessa di una religione basata sulla libertà, ma contraddicendo anche la logica.

Il Motu Proprio non afferma – né può farlo – che il rito antico sia in qualche maniera in contrasto con il partecipare alla Chiesa cattolica e alla sua Fede, infatti si riserva di autorizzarlo anche se con la tecnica dei “lacci e lacciuoli”, che Montanelli ci spiegò molto bene a suo tempo e che ogni potere amministra in maniera ambigua e pericolosa.

Se il rito è possibile perché non è liberamente possibile? in una Chiesa che in tutta evidenza tutto consente, tutto permette e nulla può giudicare, come si può vietare un qualcosa che giudica essa stessa “autorizzabile”.

È una colpa voler partecipare alla Messa come facevano santi come Giovanni Bosco, Cafasso, Cottolengo, Frassati? Limitandoci ai piemontesi più recenti…

Rimane l’impressione che un certo clero apprezza la puzza di alcune pecore e non di altre, ma costoro dovranno farsi carico della responsabilità di aver portato nella Chiesa l’ennesima divisione inutile in quanto ideologica, quando papi santi come Paolo VI e Giovanni Paolo II fecero di tutto – ut unum sint! – per sanare la frattura con i tradizionalisti per evitare una deriva scismatica seguiti in questa opera dalla finezza teologica di Papa Benedetto XVI.

print_icon