La povertà non è colpa dei ricchi

Il primo di gennaio di ogni anno tutti quanti ci ripromettiamo di migliorare nel comportamento, nella dieta, nel prendersi cura di sé stessi e tutti gli anni, insieme ad oroscopi e a previsioni del tempo, i media ci “sommergono” di articoli inerenti alla “disuguaglianza” dei redditi dei cittadini e del crescente aumento della povertà nel Paese. Anche oggi durante la trasmissione “Prima Pagina” di Rai radio 3, condotta questa settimana dalla giornalista Lucia Capuzzi del quotidiano ad indirizzo cattolico Avvenire, vengono ripresi e commentati articoli sulla disuguaglianza. La giornalista, nel commentare e nel rispondere alle domande dei radioascoltatori, contrappone, sugli ipotetici piatti di una bilancia, i “Paperoni” (come lei definisce i capitalisti), che in virtù della pandemia hanno aumentato enormemente i loro guadagni, e i poveri, che, sempre grazie alla pandemia, sono aumentati considerevolmente, quasi a lasciare intendere che ci sia una diretta relazione causa-effetto tra i due piatti della bilancia.

In Italia nel 2020, secondo i dati diffusi dall’Istat, si sono registrate poco più di due milioni di famiglie, per un totale di oltre 5,6 milioni di individui, in condizione di povertà assoluta e poco più di 2,6 milioni di famiglie in condizione di povertà relativa (circa 7,2 milioni di individui). Con soglia di povertà assoluta si intende, a prezzi correnti, il valore monetario del paniere di beni e servizi considerati essenziali per la sopravvivenza di ciascun individuo: sono i beni e servizi legati alle necessità fisiologiche di base quali l’alimentazione, l’alloggio, il vestiario, la salute e l'igiene. Questo valore varia in base all’età dei soggetti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza. Per esempio, stando ai calcoli Istat, mediamente per un individuo che vive in una grande città del Nord, 800-840 euro è la cifra sotto la quale si ricade nella soglia di povertà. La povertà relativa, invece, è quella che si ha se si è impossibilitati a fruire di beni o servizi in rapporto al reddito pro-capite medio di un determinato Paese. Chi si trova in povertà relativa, quindi, potrebbe comunque avere il minimo necessario per la sopravvivenza ma non usufruire di tutte le possibilità e i servizi disponibili in un Paese.

Tra i fattori che incidono sulle percentuali di povertà assoluta la Caritas sottolinea che l’istruzione è fra i più tutelanti (oggi più del passato): dal pre-pandemia al 2020 si aggravano le condizioni delle famiglie la cui persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare (o nessun titolo), passando da 10,5% a 11,1% e peggiorano visibilmente anche le condizioni di coloro che possiedono un diploma di scuola media inferiore, dall’8,6% al 10,9%. Nei nuclei dove il capofamiglia ha almeno un titolo di studio di scuola superiore si registrano valori di incidenza molto più contenuti (4,4%).

In Italia, le 50 persone più ricche registrano un reddito annuo complessivo di circa 210 miliardi di euro. Poiché i redditi esposti sono quelli dichiarati e le tasse vengono pagate con aliquote proporzionali al reddito (fino 15mila euro il 23%, fino a 28mila il 25%, fino a 50mila il 35% e oltre il 43%), le suddette 50 persone versano all’erario circa 90,3 miliardi di euro all’anno. Se, per assurdo, lo Stato confiscasse l’intero ammontare di 210 miliardi di euro per distribuirlo ai poveri, che tra assoluti e relativi sono circa 12,8 milioni, ad ogni povero spetterebbero circa 16mila euro all’anno e per lo Stato l’incasso delle tasse, in base alle aliquote, sarebbe di circa 60 miliardi con una riduzione di circa 30 miliardi. Questi dati sembrano escludere la teoria causa-effetto tra i due piatti della bilancia su cui la giornalista Lucia Capuzzi pone i Paperoni e i Poveri.

L’Italia è uno dei paesi europei con maggiore pressione fiscale, vogliamo arrivare all’esproprio, applicando le teorie di Pierre-Joseph Proudhon che affermava: “La proprietà è furto”? Non sarebbe meglio che lo Stato spendesse meglio gli ingenti proventi delle nostre tasse? Un secchiello senza fondo beve molta acqua ma non serve a dissetare nessuno.

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