La giustizia non è "popolare"

Il recente sondaggio relativo ai referendum del prossimo 12 giugno sulla Giustizia, realizzato dall’istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento (indagine realizzata su un campione stratificato di 1.500 intervistati italiani e maggiorenni), ha evidenziato i seguenti risultati: il 30% dei cittadini sono decisi a recarsi ai seggi; il 14% deve ancora pensarci; il 56% (circa 28,5 milioni di cittadini su 50,7 milioni di elettori) non sembra invece interessato. Pietro Vento fa osservare che: “Se questo orientamento di massima fosse confermato, il quorum per la validità dei referendum del 12 giugno non sarebbe raggiunto”.

Il fallimento del referendum metterebbe una pietra tombale sulle possibilità di affrontare e condurre in porto una vera riforma del sistema giudiziario. Una riforma di cui realisticamente, se non fossimo costretti dall’Europa, non si sarebbe occupato questo Parlamento. Dal sondaggio emerge che i quesiti referendari non interessano la maggioranza dei cittadini italiani nonostante che da anni lamentino la negatività del sistema giudiziario. Sempre il direttore di Demopolis afferma che il 66% dei cittadini ritiene insufficiente il funzionamento della giustizia nel nostro Paese e, se teniamo in considerazione solo coloro che hanno in corso o hanno avuto nel recente passato un’esperienza diretta con la “macchina giudiziaria”, la percentuale sale all’85%.

Vediamo in dettaglio i requisiti referendari abrogativi (votando Sì viene tolto quanto indicato dal quesito) apparsi sulla Gazzetta Ufficiale n. 82 del 7 aprile 2022.

1. Incandidabilità e divieto di ricoprire cariche istituzionali. La legge Severino, entrata in vigore nel 2013 e oggetto di abrogazione, prevede che chi è condannato in via definitiva per delitti “non colposi” (cioè delitti commessi con dolo ossia con la consapevolezza e la volontà di commettere un reato, come mafia, terrorismo, corruzione, ecc.) non possa candidarsi né essere eletto per cariche elettive (Parlamento, Regione, Comune) e di Governo. Qualora la condanna definitiva avvenga dopo che il soggetto è entrato in carica, è prevista la decadenza automatica dell’incarico salvo per i senatori e i deputati nazionali la cui decadenza deve essere decisa dalla camera di appartenenza. Inoltre, per europarlamentari, membri di governo e amministratori locali è prevista la sospensione dell’incarico anche in alcuni casi di condanna di primo grado (non definitiva). L’abrogazione toglierebbe gli automatismi restituendo ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna, occorra applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici.

2. Limitazione delle misure cautelari. La custodia cautelare è una misura coercitiva con la quale un indagato viene privato della propria libertà nonostante non sia stato ancora riconosciuto colpevole di alcun reato e viene attivata quando si teme che ci sia il pericolo, da parte dell’indagato, di tornare a commettere “delitti della stessa specie di quello per cui si procede”. Secondo le stime più recenti, circa il 30% della popolazione carceraria non sta scontando una pena ma è detenuta in attesa di giudizio. La “Relazione sull’applicazione delle misure cautelari personali e sui provvedimenti di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione”, predisposta dal Ministero della Giustizia e comunicata alla Presidenza della Camera il 16 aprile 2020, segnala, con dati relativi al solo anno 2019, il pagamento, da parte dello Stato, della somma complessiva di 43.486.630 euro, a fronte di 1.000 ordinanze di liquidazione, ossia di altrettanti casi di detenzione ingiusta. L’abrogazione mira a eliminare gli abusi di carcerazione cautelare togliendo la “reiterazione del reato” dai motivi per cui i giudici possono disporre la custodia cautelare in carcere o ai domiciliari durante le indagini, e quindi prima del processo, con motivazione generica e poco dimostrabile, con il rischio di detenere un innocente.

3. Separazione delle funzioni dei magistrati. Oggi nel corso della propria carriera, un magistrato può passare fino a quattro volte tra la funzione requirenti (coordina le indagini ed esercita l’azione penale) e quella giudicante (giudica in un procedimento). Le disposizioni coinvolte nel quesito referendario sono tutte quelle dove, nel testo, compare la duplicità di ruolo del magistrato fra requirente e giudicante, senza distinzione di comportamento, o quelle dove vengono sancite regole, nei modi e quantità, per il passaggio di funzione. L’abrogazione comporterà la separazione delle funzioni non consentendo al magistrato, durante la sua carriera, la possibilità di passare dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero e viceversa. In definitiva il magistrato dovrà scegliere se fare il Pubblico Ministero o il Giudice in fase di assunzione e gli sarà precluso chiedere il passaggio all’altra funzione.

4. Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari. Tra i componenti sia del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione sia dei Consigli Giudiziari (organi “ausiliari” del Consiglio superiore della magistratura), oltre agli appartenenti alla magistratura, ci sono i “laici”, cioè avvocati e professori universitari, la cui funzione viene esercitata su ambiti limitati. In particolare, sono esclusi: dai pareri per la valutazione sulla professionalità dei magistrati; dai pareri sull’adozione di provvedimenti di collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall’impiego, concessioni di titoli onorifici e riammissioni in magistratura dei magistrati; dalle proposte al comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura sulla programmazione dell’attività didattica della Scuola. L’abrogazione della legge tende ad eliminare tali limitazioni dei componenti non togati permettendo anche agli avvocati ed ai professori universitari di votare in merito alle tematiche da cui oggi sono esclusi.

5. Riforma del Csm. Un magistrato che voglia essere eletto tra i componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura deve trovare da 25 a 50 firme di sostenitori per la propria candidatura. L’abrogazione di tale obbligo eliminerebbe il pericolo di condizionamenti a correnti (sostenitori) e permetterebbe ad ogni singolo magistrato di candidarsi con il proprio curriculum per essere valutato esclusivamente sul lavoro svolto.

La scarsa volontà di voler esprimere il proprio voto è il dato più rilevante del sondaggio: è un dato che sottolinea quanto il popolo italiano non sia interessato alla “Giustizia” e quindi alla “convivenza sociale” e al “rispetto della Libertà”. Uno scarso interesse che si contrappone con le numerosissime ore di talk show televisivi: se sono tante le ore dedicate da questi programmi a temi come il lavoro, la violenza, la scuola, la salute, la guerra…, significa che, necessariamente, per la soddisfazione degli editori, devono esserci un gran numero di telespettatori che li seguono. Noi italiani siamo sempre pronti a criticare tutto e tutti ma quando si tratta di “impegnarci”, anche solo andando a votare per un referendum, ci nascondiamo dietro la presunta inutilità del voto “tanto in Italia non c’è speranza che qualcosa cambi” (suggerisco la lettura di “Discorso sulla servitù volontaria” di Étienne de La Boétie). Una celebre frase di Sandro Pertini afferma: “…non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà”. Duole constatare che il 56% del corpo elettorale italiano non sia sensibile al tema della Giustizia e quindi della Libertà!

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