Cambiare idea è democrazia

Durante le campagne elettorali ritorna puntualmente sui media la questione dei mutamenti di idee, su argomenti anche importanti, di buona parte dei politici ed anche di gran parte del “corpo elettorale”. Il tema del cambiamento, anche delle opinioni, ossia il tema del molteplice e del mutevole, è uno dei primi problemi che la Filosofia ha affrontato, fin dalle sue origini, domandandosi: tutte le cose sono soggette a cambiamenti? Siamo in grado di spiegare razionalmente i cambiamenti? Il nostro linguaggio è in grado di descrivere o rappresentare i cambiamenti? Possiamo noi prevedere o determinare i cambiamenti?

Eraclito di Efeso (520-460circa a.C.) sostiene che il divenire costituisce il principio sul quale poggia il mondo: tutto il cosmo è in continuo mutamento, niente permane nella stessa forma. Lo stesso vivere è un continuo mutare da una condizione all’altra. “Pànta rei” (tutto scorre) incessantemente, ed è questo continuo mutare che costituisce il senso stesso del cosmo, il suo principio fondamentale, il suo significato ultimo. Parmenide (515-450 circa a.C.) fu il primo a sostenere la superiorità dell’interpretazione razionale della realtà a scapito dell’interpretazione soggettiva dei sensi che falsano l’oggettività del giudizio. Parmenide afferma che il molteplice non esiste, il molteplice non è la verità. Il mondo sensibile, nel quale l’uomo si muove e percepisce il divenire come reale, è “doxa” cioè opinione. Gli uomini giudicano tutto secondo i sensi, ma con essi si arriva soltanto all’opinione, non alla verità. Zenone di Elea (IV-Vsec. a.C.) sostiene che nessuno può negare che i corpi si muovano e che tale movimento sia visibile; tuttavia, la “ragione” potrà sempre confutare l’evidenza del movimento attraverso un rigoroso metodo di analisi logica. Platone (428-347 a.C.) dice che mutabile è la forma e immutabile la Virtù, la Verità, l’Idea. L'Idea secondo Platone non è un semplice concetto che si forma nella mente ma è un’entità dotata di esistenza autonoma, una sorta di “oggetto” eterno che vive al di fuori della coscienza degli uomini.

Dai dibattiti politici alle interazioni quotidiane, spesso si incontrano persone disposte a sostenere la loro posizione nonostante tutto e tutti, persone che, anche se l’evidenza di prove schiaccianti dimostrano il contrario, continuano a negare il cambiamento climatico o credono che i vaccini causino l’autismo. Nella vita la coerenza è una dote rassicurante e di grande valore, ma, superato un certo limite, il rischio, nel migliore dei casi, è di risultare ridicoli se non addirittura stupidi o testardi. Secondo una ricerca pubblicata su Harvard Business Review, un deciso mutamento di opinione rispetto a ciò che si affermava precedentemente è giudicato come un segno di intelligenza, di versatilità e di apertura mentale. Lo studio, effettuato su un vasto campione di imprenditori messi in competizione tra loro tramite un gioco, dimostra un dato di fatto semplice: tutti detestiamo cambiare idea e, soprattutto, renderlo pubblico. La ricerca della Harvard Business Review afferma: “Abbiamo scoperto che gli imprenditori avevano una tendenza generale alla testardaggine: il 76% di questi si rifiutava di cambiare idea di fronte a prove contraddittorie. Sfortunatamente, questa tendenza si è rivelata controproducente per i loro interessi. Infatti, gli imprenditori che hanno cambiato idea durante i test avevano quasi sei volte più probabilità di avanzare alla fase finale della competizione”. La testardaggine, di per sé, non è penalizzante. Ad esempio, in un altro studio in cui i partecipanti stavano valutando candidati per un lavoro, si concordava sul fatto che un candidato disposto a cambiare idea fosse l’ideale per un lavoro fondato sull’intelligenza (ad esempio, l’ingegneria), ma non fosse particolarmente adatto per lavori in cui era più importante ispirare fiducia (come il parlare in pubblico).

Questi risultati spiegano, in parte, perché abbiamo opinioni incoerenti su coloro che cambiano idea, a volte denigrandoli per il loro equivoco (espressione verbale che si presta a essere interpretata in più modi, imbroglio) e, a volte, applaudendoli per la loro ponderatezza (qualità e comportamento di chi ha l’abitudine di riflettere prima di agire, di decidere, di parlare). Tutto dipende dal contesto. La ricerca raccomanda ai manager e leader che vogliano promuovere la ponderatezza nei dipendenti di: “(…) prendere provvedimenti in modo da garantire che le persone possano cambiare idea senza perdere la faccia. I manager stessi dovrebbero provare a modellare la propria forma mentis in questo senso: in risposta a prove valide che la loro posizione iniziale era sbagliata, potrebbero manifestare un comportamento sensibile a nuovi dati o semplicemente dire, ad alta voce e chiaramente: «Ho sbagliato». Dal test risulta che soltanto il 24% dei manager e degli imprenditori ha ammesso di aver sbagliato. Ammetterlo con sé stessi e con gli altri prevede una grande forza psicologica e caratteriale, che in pochi hanno. Il timore dell’ammissione è quello di sembrare incoerente, di risultare inaffidabili e di perdere la fiducia degli altri.

“Chi non cambia mai la propria opinione ha il dovere di essere sicuro di aver giudicato bene fin da principio”, scrive Jane Austen in “Orgoglio e pregiudizio”. Poiché è difficile avere sempre l’assoluta certezza di aver giudicato bene, è legittimo, ma anche opportuno e necessario, essere disposti a cambiare opinione. L’onestà intellettuale consiglierebbe di ammettere in modo chiaro i propri errori mostrando semplicemente i dati che hanno spinto al cambiamento della propria posizione. Comunque, il cambiare, come il non cambiare, di per sé non è né bene né male. Si può cambiare in meglio ed in peggio mentre il non cambiare potrebbe non consentirci di migliorare. Una persona malata cambiando la cura può guarire oppure può peggiorare, esattamente come una persona che affronta un nuovo lavoro.

Qualsiasi cambiamento, o non cambiamento, può essere solo giudicato a posteriori in base alla nostra personale percezione di meglio o peggio. Ernesto Galli della Loggia scrive: “Davvero è degno di rispetto solo chi, di uomini, fatti e valori, mantiene per così tanto tempo sempre la medesima opinione senza mai cambiarla, e quindi senza mai cambiare le proprie scelte, facendosi guidare sempre dagli stessi criteri di giudizio? (…) La Storia è piena di esempi di autorevoli personaggi che in condizione di piena libertà hanno espresso opinioni più che discutibili e poi le hanno radicalmente mutate, senza attirarsi per questo l’accusa di essere dei voltagabbana (…) Tra i diritti che la libertà assicura c’è anche quello di cambiare idea (…) cambiare opinione è una pratica spregevole quando si cambia opinione per ottenere un beneficio personale dal potere (…) non già quando si muta in maniera manifesta il proprio punto di vista sul mondo o la propria collocazione sullo scacchiere politico (…). In politica periodicamente tutti più o meno cambiano; anche questo si chiama democrazia”.

Andando a votare, quindi, non restiamo radicati a vecchi ideali che sono solo sogni ma cambiamo, o non cambiamo, la nostra idea pensando al nostro futuro modo di vivere in questa nazione che è, malgrado tutto, la nostra casa.

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