Quanti danni in nome della Verità

Il primo marzo scorso la Procura di Bergamo ha chiuso le indagini nei confronti di chi ha gestito, a vario titolo, la pandemia da Covid-19 nei primi mesi del 2020 in seguito agli esposti presentati dai parenti di 57 persone morte. Le indagini, coordinate dalla Guardia di Finanza di Bergamo con la consulenza “tecnico-scientifica” del microbiologo Andrea Crisanti (classe ’54, laureato in medicina e chirurgia, poi professore ordinario di microbiologia e oggi eletto Senatore per il Pd), potrebbero consentire l’attribuzione delle singole responsabilità. In relazione ai risultati della consulenza effettuata dal microbiologo, è interessante quanto scrive Aldo Grasso sul Corriere della Sera: “Andrea Crisanti ci restituirà la “Verità”. Impresa non facile, ma lui ne è convinto (…). Reato ipotizzato? Epidemia colposa. Crisanti dice che la sua è una mappa logica: «I giudici (ndr, la procura) mi hanno chiesto se era possibile in qualche modo quantificare quelle che potevano essere le conseguenze di determinate scelte. E questo ho fatto”.

La pandemia ci ha sorpreso alle spalle: popolazione, governanti, sanitari. Era un morbo sconosciuto, inarrestabile, terrorizzante. Era un evento mondiale di inattesa brutalità. Difficile trovare qualcosa di logico ripensando a quei giorni spaventosi, alle immagini degli ospedali allo stremo, alle bare sui camion. Basta una perizia “sperimentale” di un microbiologo per cancellare l’imponderabile, l’imprevedibile, quella dimensione che per i Greci si giocava tra il fare umano e la “mente di Zeus” e si chiama fato. Qualcuno avrà fatto errori, certo, comprese alcune dichiarazioni in tv dei virologi. Per dire, a proposito di fatalità, Crisanti senza il Covid non sarebbe mai stato eletto senatore. C’è chi ha passato una vita intera a studiare il nesso tra destino e scienza e a ricordarci che non disponiamo di un sapere incontrovertibile. Che la Verità esista solo nella perizia bergamasca? La Verità!

Quanta religiosa adorazione per la “divina Verità”! Nei momenti in cui essa è in crisi, allora ne si brama compulsivamente il possesso. Ognuno vuole affermare la propria verità anche ricorrendo ad “esposti” contro terzi per stimolare la Magistratura, facendo leva sull’Obbligatorietà dell’azione penale, a ricercarla, la Verità. L’obbligatorietà dell’azione penale di per sé potrebbe essere uno sprone per ricercare la Verità ma la sua formulazione è tale da creare discrezionalità, da parte del pubblico ministero, nell’aprire o non aprire un fascicolo di inchiesta in quanto l’alto numero di denunce ed esposti che pervengono alla procura rende impossibile dare seguito a tutte. L’Italia è l’unico paese ad avere una tale legge e questo significa che, se da una parte il popolo italiano ha sete di Verità, dall’altra dovrebbe essere maggiormente riflessivo prima di portare avanti “rivelazioni” o “deduzioni” spesso figlie solo di “se”.

Facendo concorrere a questo “gioco della verità” le istituzioni dello Stato, vitali per l’assetto democratico del Paese e per la qualità della vita dei cittadini, si arriva ad esprimersi, comprensibilmente, come Gramellini: «Se il Male è lo specchio deforme delle nostre debolezze, non c’è italiano, a cominciare dal sottoscritto, che non si senta chiamato in causa da uno dei pizzini di Messina Denaro trovati in casa della sorella. Quello dove il boss descrive i mafiosi come dei perseguitati, con l’unica colpa di voler difendere la propria terra dalla sopraffazione di un invasore, lo Stato, “prima piemontese e poi romano”. Intendiamoci, non sto certo dicendo che ci sia un mafioso o un indipendentista in ciascun italiano. Ma una presunta vittima dello Stato, sì, eccome. Ovunque lo Stato significa Noi; solo in Italia significa Loro. Un imprenditore del nord, una persona per bene o comunque nella media, una volta mi disse: “Per me lo Stato è un feudatario che ogni anno si porta via oltre la metà dei frutti del mio lavoro. Ingannarlo non è una colpa, è una necessità”.

La ragione per cui siamo il Paese delle cricche, delle caste e degli evasori è tutta qui. Per noi lo Stato non è chi ci aiuta, ma chi ci vessa; non è chi ci difende, ma chi ci offende. Naturalmente lo Stato ci mette del suo, con la giustizia più lenta, le leggi più farraginose e la burocrazia più inamovibile e oscura, per tacere dei politici che non contano nulla ma si credono tutto. E so bene che quattordici secoli di storia frantumata, dalla calata dei barbari a Garibaldi, non si recuperano in centosessant’anni. Ma, in attesa che anche da noi si affermi il senso dello Stato, mi accontenterei che lo Stato smettesse di farci così senso».

I governi che si sono succeduti dal 1861 ad oggi, spesso non hanno saputo dare al Paese, a parte rare eccezioni, delle leggi adeguate che fossero buone e giuste. Difficilmente una legge è stata abolita o sostituita ma solo sempre aggiornata e, col passare del tempo, arricchita di orpelli e gestioni particolari, spesso in contraddizione tra di loro. Il risultato è evidente, alla portata di tutti: un numero sproporzionato di leggi difficili da ricordare, da capire e da conoscere. Non dobbiamo, però, incorrere nell’errore di plaudire l’improprio interventismo delle procure della repubblica teso, in nome della Verità, a “colmare” i vuoti lasciati dal potere legislativo, che per costituzione è a esclusivo diritto-dovere del Parlamento. Il disattendere la separazione dei poteri dello Stato, uno dei principi giuridici fondamentali dello stato di diritto e della democrazia liberale (come teorizzato dal filosofo illuminista Montesquieu nel 1748 nella sua opera lo “Spirito delle leggi”), genera un pericolosissimo corto circuito tra potere legislativo e potere giudiziario. È quindi indispensabile “riparare” rapidamente questo mal funzionamento creatosi tra Magistratura e Parlamento al fine di impedire il verificarsi del blackout della nostra ancora fragile democrazia.

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