Una partita sulla pelle dei naufraghi

Il 26 febbraio ’23, quando una carretta del mare pilotata dai nuovi mercanti di esseri umani si è sgretolata in Calabria a pochi metri dalla spiaggia di Cutro, tutti i media di informazione (giornali, telegiornali, talk show) hanno dato il via al nuovo campionato “Governo-Opposizioni” le cui partite permettono ai due fronti di maturare punti nella classifica volta a vincere le prossime elezioni. Ricordate il 3 ottobre 2013 quando si consumò una delle più gravi catastrofi marittime dall’inizio del ventunesimo secolo? Nelle acque di Lampedusa, a poche miglia dal porto, un’imbarcazione libica naufragò provocando 368 morti accertati e 20 presunti dispersi. Si riuscirono a salvare 155 migranti di cui 41 minori. All’epoca a Palazzo Chigi sedeva Enrico Letta (Pd).

Questi tragici eventi negli ultimi dieci anni hanno causato circa ventiseimila morti e tutto questo a prescindere da chi abbia fin ora vinto il “campionato elettorale” italiano. Poi la notte dell’11 marzo ecco una nuova tragedia che contribuisce a scaldare gli animi delle opposte tifoserie. Questa volta siamo nelle acque al largo della Libia, dove è naufragato un barcone con a bordo 47 migranti di cui 30 dispersi e 17 soccorsi.

Due editoriali di questi giorni evidenziano bene il clima da tifo calcistico che in Italia si sviluppa sulla pelle dei migranti clandestini. Scrive Massimo Giannini: «Dunque, ci risiamo. Il mare ci sta ancora restituendo i corpi dei bimbi innocenti annegati lungo la spiaggia di Cutro, e già ne ingoia altri poche miglia più in là. Stavolta siamo a 120 km da Bengasi. Stavolta i sommersi sono solo 30 e i salvati 17 (…), la tragedia è avvenuta in “zona Sar” libica. Ma a parte queste differenze, anche questo disastro, come quello di una settimana fa in Calabria, ha la stessa “matrice”: potevamo salvarli, e non lo abbiamo fatto. (…) Nessuno ha mosso un dito o messo in acqua una motovedetta. Siamo al tragico scarico di responsabilità che abbiamo già visto a Cutro. (…) La Guardia Costiera, con puntiglio pilatesco, ci tiene a far sapere che il naufragio è avvenuto al di fuori dell’area di responsabilità Sar italiana. (…) Difronte a questo ennesimo scempio, il governo ha ancora il coraggio di lamentarsi se i giornali parlano di “strage di Stato”?».

Su Il Giornale Augusto Minzolini scrive: «Dopo il tragico e straziante naufragio di Cutro, sulle nostre coste sono arrivati, salvati dalla nostra Marina Militare e dalle motovedette delle capitaneria di porto, migliaia e migliaia di immigrati imbarcati su quei rottami galleggianti che usano gli scafisti (dall’inizio dell’anno più di 18 mila clandestini). E a sentire la nostra intelligence, sulle coste libiche ce ne sarebbero 685 mila pronti a partire. Una moltitudine che da una parte va soccorsa per evitare che affidandosi alle grinfie di organizzazioni criminali senza scrupoli finisca in fondo al mare. Dall’altra va scoraggiata o, almeno selezionata, in modo che i perseguitati e i provenienti da zone di guerra trovino asilo da noi com’è loro diritto, mentre chi viene solo per popolare quei ghetti criminali che sono sorti nelle nostre città (furti, aggressioni e spaccio) sia respinto. (…) C’è bisogno profondo di senso dell’equilibrio nell’accostarsi ad un problema che non ha soluzione. Da parte di tutti. (…) Che non significa incolpare il nostro governo, come ha fatto ieri la neo segretaria del Pd, di un naufragio avvenuto in acque libiche per il quale, peraltro, le nostre autorità si sono mobilitate. Con la speculazione politica su questi temi, non si va da nessuna parte. Anzi, può rivelarsi un boomerang, perché le ondate emotive sono cangevoli. Lo ha sperimentato Matteo Salvini e lo scoprirà anche Elly Schlein».

La partita giocata tra Governo ed Opposizione, che sembra sempre di più una commedia dell’assurdo, si arricchisce di elementi inquietanti: chi da una parte sostiene che i giornali hanno titolo a definire queste tragedie delle “stragi di Stato” (ricordo che la definizione di Strage di Stato secondo il dizionario De Mauro è un “attentato o atto terroristico volto a destabilizzare l’ordine costituito, manovrato da organi e personalità dello Stato”) e chi dall’altra sostiene che è necessario scoraggiare le persone che, vivendo in paesi dove non è garantito lo stato di diritto, fuggono alla ricerca di un luogo dove la vita è migliore. Una partita senza fine, una partita in cui è ora che gli spettatori-elettori facciano sentire la loro voce chiedendo all’arbitro di sospenderla a causa dei troppi gravi falli fatti in campo da parte di entrambe le squadre. Questo è il momento in cui l’arbitro deve fischiare la fine del primo tempo e rimandare le squadre nello spogliatoio a meditare sulla necessità di cambiare le strategie di gioco affinché il secondo tempo e le partite a venire siano belle e combattute secondo le regole del gioco democratico: chi vince governa e chi perde stringe la mano al vincitore promettendo un’opposizione costruttiva perché a vincere deve essere il Paese.

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