La cura è nella programmazione
Guglielmo Bracco 09:01 Martedì 07 Novembre 2023 0
Stiamo da tempo assistendo ad allarmi relativi alla prossima carenza di medici. Ma 10 anni fa i medici erano troppi! Parliamo allora di programmazione? Una diversa lettura del problema deve portare ad ammodernare il sistema anziché piangere per ogni medico che va in pensione. La mia generazione di medici (laurea nel 1975) ha riempito gli ospedali creando una organizzazione medico-centrica ben diversa dal resto d’Europa. Anni fa ci si lamentava che l’Italia aveva un medico ogni 200 abitanti: troppi! Però: nessuno fu disoccupato a quei tempi, ci siamo impiegati tutti, avocando alla figura del medico oltre alle attività diagnostiche e terapeutiche, anche quelle assistenziali, attività che altrove in Europa sono di competenza infermieristica e tecnica. Ottima sanità, comunque. Ma oggi è necessario rivedere una organizzazione in cui gli infermieri e i tecnici sono stati relegati a posizioni di secondo piano, e i medici hanno stabilito la necessità di essere presenti ovunque. Gli esempi.
Mancano pediatri. L’Italia è uno dei pochissimi Paesi al mondo in cui esistono i pediatri di libera scelta: altrove il pediatra sta in ospedale per i casi gravi, per gli altri casi agisce il MMG. Non mancherebbero pediatri se fossero tutti in ospedale.
Mancano chirurghi e ortopedici. Quanti chirurghi sono in sala operatoria per ciascun intervento? Siamo certi che un infermiere quale secondo o terzo al letto operatorio non significherebbe utilizzare al meglio il chirurgo, che ha studiato 10 anni per fare lo specialista?
Mancano anestesisti. Siamo certi che occorra un anestesista per ogni sala operatoria? Un anestesista può coordinare un gruppo di infermieri di anestesia e intervenire nei casi gravi.
Mancano ginecologi. Le gravidanze fisiologiche nel Nord Europa vengono seguite dall’ostetrica, non dal medico ginecologo. Mamma e neonato sano devono andare a casa poche ore dopo il parto, senza impegnare medici e strutture in giornate di ricovero forse inutili. Ed è dannoso offrire punti nascita ogni 20 km: in questa ipotesi davvero mancano ginecologi esperti. L’esperienza e la capacità aumentano con il numero di parti seguiti.
Mancano in genere molti specialisti negli ospedali. Sono davvero necessari turni notturni per il cardiochirurgo o per il neurochirurgo, che mai interverranno in emergenza senza avere atteso l’arrivo da casa di infermiere di sala e strumentista? I chirurghi di queste specialità devono essere presenti in ospedale nelle ore di massima attività, non di notte. Siamo certi che un infermiere in ospedale non possa decidere la somministrazione di un farmaco prescritto dal medico “al bisogno”? Eppure oggi per un antidolorifico si chiama il medico di guardia.
Mancano radiologi. I tecnici di radiologia devono avere accesso alla sonda dell’ecografo per analisi di primo livello, così come devono sostituire il medico alla console della risonanza. E riferire al medico specialista i casi particolari.
Mancano i medici di medicina generale. Soprattutto mancano gli ambulatori infermieristici, a cui l'assistito accede per le prestazioni di base, per la misurazione della pressione, per la reiterazione di ricette, per le prescrizioni di analisi periodiche stabilite dal medico, per il triage di patologie insorte da riferire al medico, per il collegamento con l’ospedale di riferimento per le analisi non eseguibili in ambulatorio. Penso a un ambulatorio infermieristico che preleva e raccoglie campioni di sangue e urinarie e li invia direttamente al laboratorio di riferimento.
Non mancano e non mancheranno i medici. Mancano l’idea e la capacità, ma soprattutto il desiderio di molti, di intervenire profondamente sulla organizzazione e sulla programmazione, coinvolgendo ordini e collegi, politici e sindacati, opinione pubblica (che deve riconoscere nell’infermiere il più vicino interlocutore professionale). Via la carta, la penna, le attività improprie: il medico sia consulente, specialista, capace di delegare, decisore nella diagnosi e nella terapia. È fondamentale il ruolo dell’Università, che dovrà diplomare dalla scuole di specializzazione medici realmente esperti e completi nella specialità, che hanno lavorato in prima fila per i 4 o 5 anni della scuola, operando in prima persona, spaziando su tutta la patologia della propria specialità. All’Università la Regione deve chiedere una vera e completa formazione, così che i nuovi specialisti possano entrare fin dal primo giorno a svolgere le attività cliniche fondamentali della propria specializzazione. E la Regione deve anche indicare il numero di specialisti necessari tra quattro o cinque anni, non semplicemente contando i pensionati e chiedendone un pari numero. Si chiama programmazione. All’Università spetta la formazione, nei corsi di laurea professionalizzante, di infermieri, tecnici, ostetriche, fisioterapisti. Anche qui la Regione ha bisogno, per i propri ospedali e il proprio territorio, di professionisti completi, sicuri, autonomi fin dal primo giorno di lavoro. E in numero adeguato alle esigenze assistenziali.
A tutti gli assistiti occorre poi assicurare che l’infermiere è la figura centrale dell'assistenza sanitaria. L’infermiere non è un paramedico con limitate competenze. L’infermiere è un professionista della sanità cui devono essere attribuiti compiti fondamentali e importantissimi, e di questo si deve dare informazione agli Italiani.
Per quanto riguarda gli orari di lavoro dei medici, non è ben chiaro perché nel privato sia possibile lavorare quante ore si voglia (perché qui il medico lavora come libero professionista e non si stanca mai?), mentre nel pubblico si deve sottostare a regole rigide, pena sanzioni amministrative per il datore di lavoro. È chiaro che si tratta di aspetto economico creato dalla grande differenza di remunerazione tra il lavoro svolto nel pubblico e nel privato. Subentra dunque l’aspetto stipendiale per i medici (ed anche per gli infermieri). Alla sempre maggiore professionalizzazione richiesta ai medici deve corrispondere un forte aumento stipendiale, che, unito ad una migliore organizzazione ospedaliera, consenta alla Sanità pubblica di essere attrattiva.
Programmazione, dunque, riconoscimento della professione medica e di quella infermieristica e tecnica, adeguamento degli stipendi, attenzione delle assicurazioni nel subire le elevatissime tariffe del privato, corretta individuazione delle funzioni del medico e dell'infermiere, migliore organizzazione aziendale, protocolli clinici che consentano di ridurre l’eccesso di prestazioni (medicina difensiva), affinché l’attuale numero di medici sia adeguato grazie all'inserimento di un elevato numero di infermieri, portando il rapporto medici / infermieri a livello dei Paesi progrediti (3-4 infermieri per ogni medico), allontanandosi dalla media di tale rapporto tipica dei Paesi meno sviluppati quali Grecia e Turchia (1-2 infermieri per ogni medico).