LA SACRA RUOTA

Fca, Altavilla prepara la rivincita

C'è chi ipotizza il ritorno a breve del manager defenestrato da Elkann: con i coreani di Hyundai, possibili acquirenti. Del resto l'uomo che è stato per 14 anni l'ombra di Marchionne è già nell'orbita di Elliott. E il governo lo vuole alle Ferrovie

Tutti lo vogliono -  il suo nome è stato fatto e resta in lizza per il cda di Telecom, ma adesso dopo l’azzeramento dei vertici di Fs è dato pure tra i papabili alla poltrona di amministratore delegato delle Ferrovie – però nessuno può escludere che Alfredo Altavilla possa tornare, proprio dove non lo hanno più voluto. Detta così è un po’ troppo ruvida e imprecisa, ma il non aver scelto il supermanager, per sei anni a capo dell’area Europa Medio Oriente e Africa di Fca, quale successore di Sergio Marchionne (di cui è stato il più stretto collaboratore) preferendogli Mike Manley, in fondo non è stato molto diverso dal dirgli che per lui la permanenza nel gruppo era finita. Almeno per ora. Perché dopo la morte di Marchionne e il burrascoso colloquio di Altavilla con John Elkann culminato con le dimissioni dell’uomo che ha condiviso molti successi dell’ad scomparso, le cose stanno cambiando. E, com’è opinione comune tra chi osserva le vicende del gruppo, cambieranno. La scomparsa di Marchionne ha anticipato un corso che appare ormai delineato da Elkann e che profila quell’”interesse della famiglia Agnelli a ridurre la sua presenza nel sistema dell’automobile” come ha recentemente osservato lo storico Giuseppe Berta in un colloquio con lo Spiffero.
 
Tra le ragioni che hanno portato a scegliere Manley, insieme alla necessità di dare un segnale forte agli americani nominando il Ceo di Jeep al vertice operativo, ci sarebbe la volontà del presidente di non rischiare un nuovo padrinaggio: la nomina di Altavilla, di fatto un prosecutore del lavoro e dello stile di Marchionne, ne sarebbe stata una più che probabile conferma. La stessa voce circolata con una certa insistenza di un’offerta di Elkann a Vittorio Colao, in uscita da Vodafone, non è campata in aria, ma nasconderebbe un disegno preciso: quello di farsi dire di no, cosa puntualmente verificata. Come sottolinea con arguzia Dagospia, in questo modo, nessuno avrebbe potuto in futuro obiettare sul fatto che Elkann non avesse cercato un italiano da mettere al posto di Marchionne. Una vicenza in cui sulle strategie aziendali pesano anche elementi personali e umani. Al nipote dell’Avvocato il tutoraggio da parte del manager in maglioncino, il cui carisma lo aveva reso nei fatti il numero uno di Fca, era diventato sempre più stretto e la nomina di Altavilla non sarebbe stata sufficiente a segnare il nuovo corso: le redini dell'azienda che tornano nelle mani della proprietà. Mutatis mutandis un po’ quello che era avvenuto nel 1966 tra Vittorio Valletta e l’allora 45enne Gianni Agnelli.
 
Il “dopo” di Altavilla, uno che certamente non corre il rischio di rimanere disoccupato, incomincia da quel no ricevuto nella burrascosa conversazione al Lingotto. Ma per provare a ipotizzarne le tappe successive serve guardare anche indietro. Innanzitutto alla decisione del fondo Elliott di inserire il nome del top manager tra quelli per il nuovo cda di Telecom. Succedeva ad aprile quando il capo dell’area Emea di Fca era al fianco di Marchionne e si prospettava per lui, nella primavera del prossimo anno quando l’ad italo-canadese avrebbe terminato il suo mandato, il passaggio di testimone. Il fondo statunitense aveva appena investito un miliardo di dollari nel gruppo Hyundai, diventandone azionista con l'intenzione di ribaltarne il vertice, prospettando l’uscita dell’anziano chairman Chung Mong-Koo e l’ingresso del figlio quarantottenne Chung Eui-Sun, attuale vicepresidente. Nello schema di Paul Singer, patron di Elliott, c’era l’inserimento di un manager d'esperienza nel settore automotive. E la chiamata di Altavilla per la Telecom a quel punto, potrebbe aver avuto più di un significato e di un fine, in vista dell’interesse dei coreani per il Lingotto.
 
Sono passati alcuni mesi, ma quell’interesse resta e forse è pure accresciuto insieme a quell’altro interesse della Famiglia, di cui si è detto prima: ridurre di molto, forse fino a uscire del tutto, l’impegno nell’automobile, accentuando quegli altri investimenti che come conferma il portafoglio della cassaforte di famiglia Exor sono praticamente tutti al di fuori dell’Italia e non certo di carattere spiccatamente gestionale e industriale. Hyundai resta, forse si staglia con maggior nettezza, nel futuro di Fca. E allora la possibilità che una fonte interna alla Famiglia, seppur non con ruoli operativi ma assai vicina al ramo principale, indica come tutt’altro che improbabile potrebbe davvero vedere il ritorno al Lingotto del manager che Paolo Gentiloni avrebbe voluto alla guida di Leonardo. Se accadrà, per Altavilla sarà anche una sorta di rivincita: assumere per decisione degli statunitensi di Elliott quella posizione al vertice di Fca negatagli da chi gli ha preferito Manley, inglese, anche se lo chiamano "l’americano".

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