VERSO IL 2019

Centrodestra, alleanza (s)finita

Non esiste più nessun patto di coalizione, le condizioni di future intese saranno stabilite volta per volta, secondo logiche e convenienze contingenti. Salvini gioca al gatto col topo berlusconiano. E Forza Italia è (quasi) in trappola

I due rubinetti della doccia scozzese sotto cui, nella calura ferragostana, finiscono i berluscones piemontesi stanno uno in Abruzzo e l’altro in Friuli-Venezia Giulia. Il primo, quello della piacevole e rigenerante acqua calda lo apre a distanza Giancarlo Giorgetti alla cui regia si deve l’assai probabile ricucitura dello strappo tra gli azzurri e la Lega per le elezioni regionali abruzzesi d’autunno, strappo che aveva motivatamente allarmato i forzisti del Piemonte spaventati da un possibile e ancora probabile loro abbandono da parte del Carroccio nella corsa alla riconquista dell’ultima regione ancora amministrata dalla sinistra. Il secondo rubinetto sta ancora più a nord e scarica la doccia gelata da dove nessuno se lo sarebbe aspettato.

Il governatore friulano Massimiliano Fedriga, salviniano di ferro, in un’intervista mette un’ipoteca pesantissima su una delle ultime certezze custodite dalla dirigenza di Forza Italia in Piemonte, ovvero l’applicazione del manuale Cencelli del centrodestra in base al quale il candidato presidente spetterebbe al partito di Silvio Berlusconi. “Gli alleati servono per governare bene non per scambiarsi posizioni. Non si fa tocca me, tocca a te. Si sceglie chi meglio interpreta le esigenze di rinnovamento della comunità” sostiene Fedriga, il quale esplicita ulteriormente il ragionamento che fa rima con avvertimento: "Non c'è nessuna Forza politica, Lega inclusa, cui spetta una posizione a prescindere".

Parole quelle di un esponente di primo piano qual è Fedriga nella Lega di Salvini dove nulla si muove (e si dice) senza il disco verde del Capo suonano in maniera sinistra per gli azzurri che, proprio citando i patti con l’alleato, mostravano fino a ieri di non prendere neppure in considerazione l’ipotesi di cedere la presidenza a un leghista, tanto più che se in Forza Italia sono almeno in due (ma non mancherebbero altri) a sgomitare per la candidatura, guardando alla Lega non s’intravvede un aspirante credibile. Comunque mai dire mai.

Piuttosto non è improbabile che tramite Fedriga si sia voluto recapitare un messaggio in casa forzista: non date nulla per scontato. Come, del resto, erano stati costretti a fare dopo la decisione del Carroccio di correre da solo in Abruzzo. Immediatamente aveva preso a suonare il campanello d’allarme. La deputata Claudia Porchietto, in corsa per la presidenza del Piemonte, aveva detto che proprio non le sembrava “una bella idea quella di Salvini di correre da solo anche in Abruzzo. Evidentemente auspica - diceva pochi giorni la parlamentare di FI - di continuare la sua esperienza nel governo gialloverde a scapito della alleanza di centrodestra”. E sarà proprio lei, mentre AntonioTajani accoglie la ricucitura spiegando che i leghisti “hanno capito che chi ha abbandonato il centrodestra in passato non ha avuto successi politici”, a plaudire alla ricomposizione quasi fatta: “Emerge la volontà della Lega di non tradire vocazione e valori di centrodestra per favorire il Pd e Cinquestelle”.

Sospiro di sollievo, ma non certo scampato pericolo per quel che potrà succedere da qui ai prossimi mesi quando si tratterà di mettere nero su bianco la coalizione per le regionali in Piemonte e decidere chi candidare alla presidenza. Il rischio (per Forza Italia) di un contratto tra Lega e M5s per la Regione sul modello di quello di Governo, che si rivela sempre più saldo (e con sempre meno evidenti divergenze tra i due alleati in barba a chi preconizza una fine rapida dell’alleanza tra Salvini e Di Maio), resta anche se lo strappo abruzzese, come pare, si rammenderà.

Ancora ieri il leader leghista confermando la prosecuzione di tutte le grandi opere “dalle due pedemontane, veneta e lombarda, al Terzo Valico e al Tap in Puglia dove si è detto pronto a garantire l’ordine pubblico per eseguire i lavori”, ha continuato a lasciare appesa alla valutazione costi-benefici la Tav. E anche questo non è un particolare di second’ordine nel rapporto con Forza Italia, in Piemonte in particolare.

Nello schema auspicato (e talvolta supplicato) dai forzisti, ovvero la coalizione classica di centrodestra, potrebbe tuttavia inserirsi un elemento nuovo: quella formazione immaginata dal governatore della Liguria Giovanni Toti (e da Giorgia Meloni) quale cuscinetto in grado di resistere alle baruffe tra Salvini e Berlusconi.

Un partito nuovo in grado di sopperire all’impossibilità di Forza Italia di rigenerarsi, che poi appare non distante se non addirittura coincidente proprio con quell’Altra Italia pensata dal Cav come “una vasta area sociale e culturale che esiste nel paese, ed è molto più grande di quanto appare: gli italiani seri, laboriosi, moderati, di buon senso, che vorrebbero dalla politica risposte concrete e non slogan o improvvisazioni”.

In questo caso, visto il link diretto e solidissimo che da tempo ha proprio con Toti, a giocarsi tutte le carte (salvo che non siano quelle dell’inchiesta su rRmborsopoli a bloccarlo) sarebbe l’eurodeputato Alberto Cirio, attorno al quale sta crescendo, specie nelle province, un forte sistema di supporto tra i notabili del partito.

Se poi questi due scenari venissero travolti dallo spariglio generale che rimanderebbe da una parte all’asse Lega-Cinquestelle e dall’altra a una definizione più compiuta della proposta del campo largo fatta da Sergio Chiamparino, tutto potrebbe essere possibile anche per almeno una parte di Forza Italia (quella non disponibile a transumare nel Carroccio salviniano). Magari favorita da una, a quel punto indispensabile, presenza di liste civiche e di schieramenti non tanto e non più ideologici e tradizionali, ma uniti su temi concreti e dirimenti per il futuro del Piemonte.   

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