MEMENTO MORI

Chiamparino, l'usurato sicuro

Visto che non è servita la lezione, dopo Fassino toccherà all'altro ex ragazzo di via Chiesa della Salute suggellare con una sconfitta la conclusione di una stagione politica ormai rantolante. Quei giovani che invecchieranno invocando il ricambio generazionale

Tutto è bene quel che finirà male. L’investitura di Sergio Chiamparino, formalizzata l’altro ieri dalla direzione regionale, risolve al Pd e al centrosinistra il problema del candidato alla presidenza della Regione, ma lascia del tutto integro il tema del rinnovamento, addirittura accrescendone il peso. Che, non è difficile profetizzare, graverà sul giudizio degli elettori come esperienze non lontane, né per luogo né per tempo, avrebbero dovuto insegnare.

Dopo i passi indietro, avanti e di lato, dopo le stucchevoli manfrine appena inframmezzate da più raffazzonati che ardimentosi tentativi di proposte alternative – dipendenti, dalla nascita fino alla fine dal volere dello stesso Chiamparino – i democrat piemontesi e i loro alleati possono, finalmente, pronunciare il motto shakespeariano acconciandosi però all’eventualità tutt’altro che remota di doverne mutare la conclusione. Perché un conto è avere ben presente, come lo si ha nel centrosinistra, che assai diverse sono le condizioni così come il clima politico (per non dire dello stato di salute del Pd) rispetto al 2014, altro è agire come se tutto ciò di cui si ha contezza e che è accaduto (o non è successo) in questi quattro anni e mezzo non contasse.

Il presidente pronto a una seconda legislatura rivendica, legittimamente dal suo punto di vista, i risultati di un mandato al governo in cui è difficile ravvisare quel “progetto di Piemonte” felicemente evocato in campagna elettorale nei modelli di Boston e della Borgogna da imitare e superare. L’aver rimesso in sesto i conti di un ente sull’orlo della bancarotta non è affatto poco, sia chiaro, ma non basta quando su tutti i principali settori di competenza della giunta il bilancio è a dir poco deludente. Prendiamo, ad esempio, l’ultima iniziativa promossa, la conferenza sulle infrastrutture: l’aver circoscritto la questione alla sola politica dei trasporti – testimoniato dal ruolo di “regista”(sic)  affidato all’assessore Cecu Balocco, mentre la collega titolare delle Attività economiche (ri-sic) Pina De Santis era fuori della sala a sfumacchiare – tradisce una visione miope persino di una questione su cui, giustamente, Chiamparino insiste nel definire strategica per il futuro del Piemonte. Insomma, più che la debolezza di alcuni, molti, troppi assessori è la carestia progettuale che ha caratterizzato l’amministrazione in questo quadriennio a pregiudicare seriamente il Chiamparino bis.

La rassegnata decisione di puntare sul cosiddetto “usato sicuro” in mancanza di altro e di meglio se non infonde entusiasmo nel ceto politico di centrosinistra di certo ha un effetto deprimente nei suoi elettorali. In tale contesto riesce difficile non vedere più “usurato” che usato. E, sia detto con rispetto, non (solo) per l’età del governatore, anche se la necessità di un ricambio generazionale nel campo del centrosinistra casalingo è più che mai impellente, come del resto ha ammesso lo stesso Chiamparino.

È vero, lo ha riconosciuto. Ben sapendo, tuttavia, che le condizioni non ci sarebbero state o non sarebbero state sufficienti. Non certo per un destino cinico e baro, bensì perché in questi anni non sono state create. L’ex ragazzo di via Chiesa della Salute, pochi mesi dopo essere stato eletto alla guida della Regione scrisse un post su Facebook in cui spiegava: “Nel 2019, quando terminerà questa legislatura regionale non ho intenzione di ricandidarmi. Avrò 70 anni, mi sembra una scelta normale”. Poi passava ad attribuire a quella volontà all’assenza dell’“assillo del consenso” la possibilità di agire più a mani libere “per portare avanti tutte le riforme di cui ha urgente bisogno il Piemonte”.

Quell’intenzione di non ricandidarsi, effettivamente, l’avrebbe confermata ripetutamente anche nei mesi scorsi. E se nulla autorizza a dubitarne, non si può non chiedersi perché un uomo politico di indiscussa capacità ed esperienza come lui non abbia costruito o, almeno aiutato a costruire, quel rinnovamento invocato ormai troppo tardi. Detta papale papale: se quattro anni fa la volontà era quella di non ricandicarsi perché non ha utilizzato questo lasso di tempo per delineare la sua successione?

Non pare essere servita neppure l’esperienza cui si faceva cenno prima, ossia la ricandidatura di Piero Fassino a sindaco di Torino quando più del tema-paravento delle periferie era evidente già allora il problema del cambiamento: l’esigenza di chiudere una stagione politica ventennale principalmente incarnata dai due ragazzi di via Chiesa della Salute. Lo si disse, noi lo scrivemmo, inascoltati, ma la narrazione, lo storytelling continua a guardare solo alle periferie eludendo il centro della questione.

Ingiusto attribuire la sola responsabilità della mancata costruzione di possibili eredi al solo Chiamparino: questa vicenda mostra anche i limiti di quei “ggiovani” che avrebbero dovuto, già da tempo magari sapendo meglio e con più coraggio affrontare ostacoli e resistenze, proporsi per ammazzare (politicamente) i propri padri. A loro auguriamo di non invecchiare invocando il ricambio generazionale, come purtroppo è capitato a qualcuno.

Invece, dopo Fassino, toccherà a Chiamparino chiudere il cerchio di una vecchia guardia che se non ha saputo, forse non ha del tutto voluto creare le condizioni per far posto a quella nuova. Certo, non così pronta e attrezzata come ha dimostrato affidandosi all’us(ur)ato sicuro. “Tutto è bene quel che finisce bene... e l'ultimo chiuda la porta”. Non è Shakespeare ma Nick Carter di Bonvi.

print_icon