CENTRODESTRA

Dubbi sul "salva Cirio", cresce l'opzione civica

Il codicillo inserito nello Spazzacorrotti non mette al riparo l'europarlamentare dalla scure di Rimborsopoli: la discrezionalità sul reato resta ai giudici. In caso di rinvio a giudizio si cambia cavallo. E spuntano i nomi di Damilano e della regina delle uova Fantolino

Il sollievo e l’opportunamente nascosta euforia sono durati il tempo di un rapido consulto con i legali. Poi quell’emendamento, inserito nella legge anticorruzione e scoperto da un’attenta lettura, da molti indicato come la tanto cercata salvezza giudiziaria per condannati e imputati per le cosiddette spese pazze avrebbe rivelato la sua scarsa, se non nulla efficacia prontamente spiegata dagli avvocati ai diretti interessati. Con ovvio gran scorno e delusione di questi ultimi.

Insomma, nemmeno l’ultimo tentativo – finalmente andato a segno con sapiente uso dei tecnicismi giuridici – di cavare dagli impicci i politici finiti nelle varie rimborsopoli sembrerebbe in grado di produrre l’effetto voluto (e pubblicamente sempre negato).

La derubricazione da peculato e indebita percezione di erogazione a danno dello Stato con riduzione della prescrizione da 12 anni e sei mesi a 7 anni e sei mesi, pare proprio non salvare nessuno di coloro che in Piemonte sono finiti condannati nella prima tranche dell’inchiesta sull’uso dei fondi dei gruppi del Consiglio regionale, tantomeno evitare possibili condanne agli indagati del secondo troncone per cui appare imminente la chiusura indagini con richieste di archiviazione o rinvio a giudizio. Del resto a smentire che il “comma elle” possa trasformarsi in un salvacondotto per indagati e imputati nei processi sull’uso dei fondi dei gruppi consiliari delle Regione è lo stesso ministro Alfonso Bonafede: “La questione non esiste, si tratta di fattispecie giuridicamente diverse, quindi non cambierà nulla per chi è accusato di peculato”.

Molto dipenderà dall’interpretazione della norma da parte dei magistrati, ma tra color che son sospesi in attesa di eventuale processo non si respira aria diversa da quella dei giorni precedenti. E, così, anche il nodo principale che riguarda il Piemonte con le sue elezioni a primavera, ovvero la posizione del candidato in pectore del centrodestra Alberto Cirio, è tutt’altro che sciolto dal comma, di riffa o di raffa, inserito in quella legge che proprio per la questione dei possibili salvataggi aveva portato a dure frizioni tra Lega e Cinquestelle, dopo un emendamento votato a scrutinio segreto e poi cancellato successivamente.

Storia ormai vecchia, quella. Di nuovo, semmai, dopo le scarse rassicurazioni arrivate dai legali c’è quella che appare una sempre più decisa valutazione da parte del partito di Matteo Salvini sui rischi di presentare alla guida della coalizione di centrodestra un politico assai stimato e vicino al Carroccio come l’europarlamentare di Alba senza che da questi si sia allontanata definitivamente l’eventualità, anche remota, di una condanna. Stesso ragionamento che si va facendo in Forza Italia.

L’uomo è quello giusto, dicono tutti, però non si può rischiare. Lo stesso parlamentare europeo aveva non molto tempo fa annunciato la sua non disponibilità a candidarsi nel caso di un rinvio a giudizio. Si incastreranno i tempi della politica con quelli della giustizia? Questo è un ulteriore problema, mentre il calendario scorre e Sergio Chiamparino corre.

Da Forza Italia nessun segnale, se non l’ammissione, sia pure sussurrata, di quel problema che ancora c’è e della necessità di prevedere, piaccia o meno, un’alternativa. Se poi questa fosse rappresentata dal coordinatore regionale, fratello del medico persinale del Cav, Paolo Zangrillo, non è difficile contestare l’analisi che fa più di un azzurro – ovviamente nel più protettivo degli anonimati – e che si conclude con una sorta di regalo all’attuale presidente della Regione.

Tutto questo vale a condizione che valga l’accordo secondo il quale spetta a Forza Italia la candidatura presidenziale. E se le parole hanno un peso, vale la pena non sminuire quello della frase che il segretario regionale della Lega Riccardo Molinari ripete ormai come un mantra quando si tratta di confermare il patto: “Ad oggi, il candidato presidente spetta a Forza Italia”. Ad oggi.

Questo vuol dire che se non domani, magari un dopodomani spinto avanti di un po’ Salvini potrebbe rivedere la sua posizione sul Piemonte? L’ipotesi non è nuova e, ad oggi, nessuno può escluderla aldilà delle dichiarazioni di rito.

Nessuno può, peraltro negare, e nessuno di fatto lo fa nei vertici leghisti che il Carroccio guardi con attenzione e una certa preoccupazione alla difficoltà in casa azzurra a precostituirsi una soluzione alternativa a Cirio. Tant’è che proprio il partito di Salvini non sarebbe estraneo a una serie di valutazioni guardando a figure della società civile per verificarne appeal e candidabilità. Una sorta di aiuto esterno all’alleato azzurro.

Sfumata l’idea di lavorare sul presidente regionale dell’Associazione costruttori Giuseppe Provvisiero, dopo che è stato condannato in primo grado per turbativa d’asta, la sotterranea operazione di scouting avrebbe raggiunto un altro noto imprenditore: il cinquantaduenne Paolo Damilano, ex presidente di Film Commission, già al vertice del Museo del Cinema, nei mesi scorsi nominato dalla Regione a capo della Barolo & Castles Foundation, con il fratello e il cugino è alla guida della azienda vinicola di famiglia, oltre che di altre attività che spaziano dalle acque minerali alla ristorazione. Anche l’ex presidente nazionale (ora piemontese) di Coldiretti Roberto Moncalvo, nonostante le sue passate simpatie renziane, resta tra i papabili.

Un asso nella manica per il centrodestra, nel caso Forza Italia non riesca a mettere sul tavolo una candidatura che convinca l’alleato leghista, per questo all’opera ma con un punto fermo: anche se sarà una figura della società civile il Carroccio non ci metterà il timbro, insomma Salvini non vuole toccare il manuale Cencelli alla voce Piemonte per evitare che poi si riaprano trattative. Questo, sempre, ad oggi.

E ad oggi un altro nome nell’agenda dei possibili contatti è quello di una donna, anche lei come Damilano del mondo dell’impresa e strettamente legata all’agricoltura. Classe 1960, laurea in Economia e Commercio, Gabriella Fantolino è l’imprenditrice delle galline dalle uova d’oro: dai suoi allevamenti ne escono 200mila ogni giorno. Una sessantina di dipendenti, otto milioni di fatturato e un’impronta green che nel 2010 la porta a smantellare tutte le gabbie e lasciare i pennuti liberi e all’aperto.

Fantolino è un nome noto nella Torino e nel Piemonte che conta. Nel board di Confagricoltura, è presente a numerose iniziative di beneficienza e la sue rete di relazioni potrebbe essere quell’atout, insieme all’essere donna, da giocare nella partita contro Chiamparino. Anche se, ad oggi, il candidato del centrodestra rimane Cirio. Ad oggi.

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