DOPO IL COVID

Digitale, il futuro è (da) remoto

Lavoro e scuola da casa, servizi online, nuovi mestieri nati in Rete. L’emergenza Coronavirus ha costretto cittadini e imprese a fare un salto in avanti. Ma il Piemonte (e l'Italia) ha molto terreno da recuperare. Ne parla Marco Gay, leader dell'Ict di Confindustria

“La pandemia con il lockdown ha fatto sì che il digitale entrasse prepotentemente nella vita di cittadini e imprese. Chi ha potuto usare il lavoro a distanza ha un po’ attenuato l’impatto della crisi, ma questo non vale per tutti. Le imprese hanno potuto mettere in smart working alcune settori, come quelli amministrativi, ma la produzione anche a causa in alcuni casi di una scarsa trasformazione digitale delle aziende ha messo in luce su questo fronte una debolezza”.

Un’accelerata da lasciare senza fiato e un pugno nello stomaco da togliere il respiro, questo è stata l’obbligata via digitale per l’economia alle prese con sistemi che molti traguardavano in un futuro lontano e, invece, si sono trovati a vivere in un drammatico presente. Non per tutti, ma per molti è stato uno stress test per nulla simulato e, dunque, ancor più importante su quanto un approccio consapevole, convinto e rapido alle nuove tecnologie sia cruciale ancor più per la sfida che attende il mondo dell’impresa e del lavoro dopo e al tempo del Coronavirus.

Marco Gay, torinese, classe 1976, è uno degli imprenditori che più incarna la svolta digitale e il passaggio generazionale all’insegna di una trasformazione decisa pur non traumatica del modo di fare impresa. Inizi nell’azienda di famiglia Proma, società del settore vetro-ceramica poi ceduta alla Saint-Gobain Abrasivi. Da lì una serie di consulenze in ambito commerciale e human resources e il ruolo di docente all’Istituto Europeo di Design e in corsi organizzati dall’Università di Torino e dalla Regione Piemonte. Nel 2000 Gay è co-founder e ceo di WebWorking, nel 2007 acquisisce quote della società Ottovolante e ne diventa l’amministratore delegato. Successivamente entra nell’agenzia pubblicitaria GSW WorldWide Italy come ceo. Nel 2013 è co-founder di AD2014 e di Torino1884, due anni dopo è nel cda di Online Sim. Il percorso parallelo, quello in Confindustria, lo porta nel 2004 a guidare il Gruppo Giovani dell’Unione Industriale di Torino, quattro anni più tardi diventa vicepresidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Piemonte, assumendo poi nel 2011 la presidenza. Sempre nel 2011 diventa numero due di Confindustria Piemonte. Nel triennio 2004 -2007 guida i Giovani Imprenditori di Confindustria nazionale e occupa una delle poltrone di vertice in viale Astronomia. Oggi è socio e ad di Digital Magics e guida Anitec-Assinform, l’associazione delle imprese Ict di Confindustria. Il suo è il nome che si fa, ormai pressoché con certezza, come quello del successore di Fabio Ravanelli alla presidenza di Confindustria Piemonte.

Dottor Gay, lei parla di una debolezza digitale emersa con forza a causa della pandemia e delle sue conseguenze sull’economia, mentre nel giro di poche settimane termini come webinar, conference call, smart working sono entrate nel lessico comune, anche quello notoriamente refrattario all’innovazione come quello della politica. Però il digital divide è ancora molto pesante nel Paese, al ventiquattresimo posto tra gli Stati dell’Unione Europea nella classifica dei più digitalizzati, come nel Piemonte dove la banda larga in alcune aree resta un miraggio. Problemi che si sommano ai non pochi che presenta il futuro per l’economia.
“È così. È stata messa in luce la debolezza di un Paese e una regione, come il Piemonte, che adesso deve mettere in atto un piano di politica industriale con pilastri chiari: sanità, imprese, scuola, infrastrutture, pubblica amministrazione. Solo se si mette in campo un progetto ambizioso con un traguardo di medio-lungo termine si può usare la trasformazione digitale come anticiclica rispetto a quello che stiamo vivendo. Il digital divide deve essere assolutamente superato. Quando parliamo di necessità di investire sulle infrastrutture, queste sono di due tipi: quelle materiali di cui si dibatte anche troppo quando sarebbe invece meglio fare e quelle che permettono la connettività, quindi banda ultralarga, 5G, tutte infrastrutture fondamentali. Perché, veda, io posso dotare la mia azienda di tutte le tecnologie, ma se poi non posso interconnetterle non faccio molta strada”.

Però Industria 4.0 dell’allora ministro Carlo Calenda puntava proprio sulla digitalizzazione e ha avuto una buona risposta anche se poi, nei governi successivi, è stata un po’ messa da parte.
“Industria 4.0 è assolutamente da rilanciare. Penso che regioni industrializzate come la nostra possano trarne ancora beneficio, soprattutto perché la prima parte è stata, ovviamente per capacità di organizzazione, più alla portata di medie e grandi aziende, ora bisogna fare lo scatto successivo portandola sempre più anche verso le piccole. Serve favorire anche l’ecosistema dell’innovazione che con le start-up vuol dire poter fare percorsi virtuosi di open innovation. Nel 2017 e 2018 Industria 4.0 a livello nazionale ha scatenato 22 miliardi di investimenti, quindi vuol dire che la strada è quella giusta. Molto intelligentemente questo piano non ha previsto di dare soldi a pioggia, ma ha previsto contributi per chi fa investimenti, con una visione e di supporto all’economia molto virtuosa. Ecco perché va rilanciata con forza”.

Lei sostiene che il Piemonte, insieme al Paese, deve dotarsi di un piano ambizioso per affrontare e uscire al più presto da questa crisi. Serve un Vittorio Colao anche in Piemonte?
“Il Piemonte può e deve fare la sua parte dotandosi di un piano industriale regionale, ma ben venga se questo diventa anche assimilabile a un piano nazionale. Abbiamo delle caratteristiche di produzione, di internazionalizzazione, un made in Piemonte che può fare la differenza. Credo che non serva un Colao per regione, serve semmai una visione nazionale e poi una capacità di traduzione e di confronto tra pubblico e privato in sinergia regionale. Le carte in mano in Piemonte ce le abbiamo tutte, adesso bisogna incominciare a darle. Ecco, rispondendo alla sua domanda, eviterei sovrastrutture. C’è già quel che serve, dobbiamo essere pratici, concreti, rapidissimi”.

Tornando al digitale, resta ancora una forte differenza tra il suo utilizzo possibile nella manifattura e nei servizi. Cosa si può fare in Piemonte?
“Il Piemonte è una delle regioni più importanti del Paese, che può aiutare anche grazie alla sua grande capacità manifatturiera e di produzione dei servizi se vogliamo partire una riflessione centrale, ovvero che non esiste più il prodotto da una parte e il servizio dall’altra, ma un connubio indissolubile che vuol dire valore aggiunto sulle produzioni. In questo il digitale è fondamentale”.

Parliamo di soldi, è sufficiente quello che è stato fatto dallo Stato e dalla Regione in termine di aiuti alle imprese?
“Quello che è stato fatto fino ad ora è una risposta alla necessità. Bisogna scaricare a terra e rendere assolutamente concreto quel che altrimenti resta nel novero delle ambizioni e buone intenzioni. E deve essere fatto in tempi non veloci, ma velocissimi, altrimenti perdiamo il treno e non si risolvono i gravissimi problemi delle imprese”.

Fiducioso o scettico?
“Io confido che verrà fatto”.

Lei rappresenta un modello di cambiamento generazionale all’insegna del futuro e delle nuove tecnologie. Il Piemonte è pronto, anche per affrontare la crisi prodotta dalla pandemia, ad allargare il più possibile questo cambio di passo?
“Il Piemonte ha tutte le capacità per incominciare questo percorso. A me piace sempre ricordare che qui sono nate molte innovazioni che poi hanno conquistato il mondo. Il digitale è quello che serve per portare il made in Italy nel futuro. Tutti i passaggi generazionali possono, con i giusti supporti, iniziare questo cambiamento. Chi non coglie le opportunità della trasformazione purtroppo avrà dei problemi di mercato, soprattutto perché siamo una regione ad altissimo tasso di esportazione”.

Di lei ormai si parla come successore di Ravanelli alla presidenza di Confindustria Piemonte. Una sfida importante, si dice sempre in queste occasioni. Però, adesso, alla luce del periodo difficile che si profila è davvero un'impresa non da poco quella che l'attende.
“Intanto sono ancora in corso le consultazioni da parte dei saggi e bisogna aspettare che l’istituzione finisca di fare i suoi passaggi. Sicuramente è una grande sfida e una responsabilità. Però, conoscendo il tessuto industriale piemontese e gli imprenditori credo che sarà anche una grande opportunità per dare un serio contributo. Non una lista della spesa delle cose da fare, ma un elenco di cose da fare insieme. Che è molto differente”.

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