PALAZZI ROMANI

Un "centrino" con troppi scentrati

Strategie divergenti, rancori e ripicche personali, una miriade di sigle in cerca di visibilità. Renzi, Calenda, Toti, Brugnaro, Mastella, +Europa. E così il progetto di dar vita al "grande centro" per le prossime elezioni rimane impantanato e forse non vedrà mai la luce

“Mi si nota di più se ci sono o se non ci sono?”. La voglia matta del nuovo grande centro sembra essersi spenta e impantanata di fronte all’oggettiva difficoltà a riformare la legge elettorale in un proporzionale pure. Ma non solo. I principali protagonisti di questa nuova avventura centrista, a stento, si sopportano. Il leader di Azione, Carlo Calenda, coglie ogni minima occasione per attaccare proprio quel Matteo Renzi che, nel 2014, lo volle nel suo governo come ministro dello Sviluppo Economico. Il leader di Italia Viva, nelle settimane calde dell’elezione del Capo dello Stato, aveva dato vita a una sorta di federazione parlamentare insieme ai fondatori di Coraggio Italia, Giovanni Toti e Luigi Brugnaro che sono quasi ai ferri corti proprio per le divergenze sulla collocazione del nuovo partito. Alla nascita di un’unica grande formazione centrista guarda anche il sindaco di Benevento, l’immancabile Clemente Mastella, fondatore di “Noi di Centro”, presieduta dall’ex parlamentare piemontese Giorgio Merlo, e Maurizio Lupi di “Noi con l’Italia”. Quest’ultimo, però, sembra titubante dall’abbandonare la sua area di riferimento: il centrodestra. Stesso discorso per l’Udc di Lorenzo Cesa (e Vito Bonsignore). Infine, ci sono i radicali di +Europa, garantisti e filo-atlantisti che, come Renzi e Calenda, mal digeriscono i Cinquestelle e, essendosi uniti in Parlamento con Azione, potrebbero far parte del nascente “centrino”.

Perché centrino? Per tre semplici motivi: i primi due di carattere storico e il terzo di carattere personale. Nella Seconda Repubblica, infatti, tutti i tentativi di dar vita a un polo centrista, da Mariotto Segni a Mario Monti, passando per Luca Cordero di Montezemolo, sono miseramente falliti. In secondo luogo, quando due o più partiti si uniscono non prendono mai una percentuale che corrisponde alla somma dei due elettorati. È stato così per i tentativi di unificazione dei socialisti ed è stato così anche l’elefantino di Segni e Gianfranco Fini. Gli esempi potrebbero essere molti, ma il dato più interessante è l’ultimo: i personalismi dei leader dei singoli partiti che ostacolano la nascita del centro.

Calenda e Renzi, come già ricordato, si punzecchiano da anni perché puntano allo stesso elettorato, una disfida che, in proporzioni ovviamente assai ridotte, ricorda quella tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Nel novembre dello scorso anno il leader di Azione, intervistato su La7 da Myrta Merlino, fu molto chiaro e diretto: “Renzi faccia quello che gli pare: vada in Arabia Saudita, faccia il centro con Toti e Brugnaro. Non farò politica con Renzi perché quel modo di fare politica mi fa orrore”. “Da tempo, insieme a +Europa e liste civiche, stiamo lavorando per questo. Ma va chiarita la linea di Italia viva (un no chiaro a Pd/5s), abbandonati opportunismi elettorali locali, e devi decidere se vuoi fare politica o business. Su queste basi aperti a discutere quando vuoi”, ha scritto oggi su Twitter Calenda, commentando l’intervista di Renzi al Corriere della Sera nella quale il leader di Iv propone di “dare un tetto all’area Draghi”. I renziani, invece, mettono spesso in evidenza l’incoerenza di Calenda, come quando gli rinfacciarono di aver fatto votare l’ex sindaco Virginia Raggi a presidente della commissione speciale per Expo 2030. Ma l’idea di un’alleanza con l’ex premier Rottamatore non convince nemmeno il sindaco di Venezia Brugnaro che, lo scorso febbraio, ha sentenziato: “Queste fughe in avanti di Giovanni Toti e di Gaetano Quagliariello verso Matteo Renzi mi sembrano un po’ premature, non ho apprezzato questo comportamento di alleanze che nascono a cena e poi casomai muoiono nell’arco di un mattino”.

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