PASSATO & PRESENTE

Il futuro di Torino non ha età

Un nuovo ruolo attivo per gli anziani, che sono ormai la maggioranza della popolazione, e politiche per attrarre i giovani. Riflessioni alla vigilia del confronto tra Cirio, Lo Russo e l'arcivescovo Repole, domani ore 21 Teatro San Giuseppe - di CLAUDIO CHIARLE

L’appuntamento del 16 gennaio sul bene di Torino promosso dalla Chiesa torinese segna un cambio di passo deciso nella gestione dell’arcivescovo Roberto Repole. Faccio pertanto alcune riflessioni. Bisogna avere chiaro che citando Torino bisogna intendere la Città metropolitana intesa come prima e seconda cintura. Il capoluogo da solo non va da nessuna parte.

Il dibattito, ormai decennale, sul futuro metropolitano indica spesso gli stessi indirizzi come l’automotive, l’aerospazio, il turismo nelle varie sfaccettature, la cultura il terziario avanzato. Ne aggiungerei uno strategico: il nucleare, fattore importante per la transizione energetica e il passaggio all’elettrico. Torino, senza aspettare che altre Città le “bagnino il naso”, partendo dalle esperienze industriali di ricerca e progettazione già presenti, deve qualificarsi come area territoriale protagonista.

Bisogna poi decidersi sull’automotive o siamo ancora Città sabauda legata a una corte monarchica che non esiste più e allora andiamo oltre oppure restiamo non sabaudi ma provinciali. A me pare che i denigratori della trapassata monarchia industriale ne siano poi, in realtà, i più nostalgici. Il settore dell’automotive, che non è solo Mirafiori, come dimostrano i dati ha superato il livello del dibattito esistente perché si è abbondantemente diversificato da Stellantis e sforna risultati che mantengono costanti sia il portafoglio ordini sia l’occupazione. Forse il dibattito su questo terreno non è allineato con la realtà oppure è condizionato da situazioni specifiche come Lear, su cui bisognerebbe valutare il percorso storico.

L’area metropolitana non è più un campo a monocoltura, è un territorio con una consistente prevalenza, ancora, dell’automotive da cui, senza guardare solo a Stellantis, si possono sprigionare  notevoli potenzialità su tutta la filiera. Nel dibattito sul futuro di Torino dimentichiamo poi sempre il grande apporto dato da CNHI e Iveco con le produzioni in campo agricolo e dei veicoli industriali che creano un ulteriore indotto. Sull’aerospazio, premesso che Leonardo viaggia indipendentemente dal territorio, la politica dovrebbe passare dall’annuncite e dalle inaugurazioni ai fatti concreti.

Da sindacalista suggerisco che se è vero che abbiamo una popolazione molto anziana e per contro, invece, dovremmo attrarre i giovani offrendo loro opportunità di studio e formazione, poi di lavoro, di abitazione, di socialità, di costruirsi una famiglia e un futuro. Oggi però, dopo il periodo pandemico, i pensionati li rapportiamo solo ai problemi della sanità; occorre invece dar loro un nuovo ruolo nella società. Bisogna ricostruire un protagonismo basato sul volontariato degli anziani partendo dall’esperienza delle Olimpiadi nei più svariati campi, dal supporto scolastico al tutoraggio giovanile, rilanciando e supportando i gruppi anziani aziendali e facendoli uscire dalle mura dell’azienda e creando spazi di protagonismo sul territorio. Creando momenti di trasmissione di esperienze degli anziani verso i giovani nelle scuole, nel mondo del lavoro, nella società.

Al Sindacato attivo dico che per superare la flessibilità negativa che diventa precariato serve riprendere nel contratti nazionali la modifica delle percentuali di lavoro atipico in relazioni al lavoro a tempo indeterminato. Non si fa più da anni.

Penso inoltre che sarebbe utile creare una nuova categoria nel Sindacato, come quella dei Pensionati serve l’intercategoriale Giovani. Un struttura sindacale che metta insieme tutti gli under trentacinquenni indipendentemente dalla categoria di appartenenza e aperta anche ai giovani che non lavorano e studenti. Sarebbe un luogo di fermento sociale e politico e di rinnovamento delle classi dirigente sindacali ma non solo che partirebbe dal basso.

Chiudo invece con un suggerimento all’arcivescovo Repole, la Chiesa dovrebbe rientrare nel mondo del lavoro, non bastano più le visite pastorali o le messe davanti ai cancelli ma, senza replicare l’esperienza feconda dei preti-operai, la Chiesa con una grande azione pastorale dovrebbe essere di nuovo presente nei luoghi di lavoro. Forse darebbe anche un po’ di impulso creando una figura diversa del prete attuale e della sua crisi creando un progetto missionario in Italia.

Una Chiesa nel mondo del lavoro, per il mondo del lavoro non può che essere un contributo sociale molto forte per Torino e dintorni. D’altra parte prima i santi sociali con la scuola-lavoro e poi i preti operai ci indicano un pezzo di strada da fare.

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