GLORIE NOSTRANE

La Torino che conta(va) bacia la pantofola di Kaiser Salza

Tutti in fila per la presentazione del suo libro: "Sapremo fare la nostra parte". E lui sì che l'ha fatta fino in fondo, dagli esordi nel Pli alla fusione tra le banche Intesa e San Paolo: pilastro di un Sistema economico e politico che ha governato il capoluogo per trent'anni

Del “Sistema Torino” è stato il perno se non addirittura l’artefice. E siccome le parabole umane seguono i disegni della storia, il tramonto di quell’intreccio tra politica e affari, che per mezzo secolo ha dominato la città ben oltre la cinta daziaria, coincide con il crepuscolo di una vita, lunga e ricca di successi, del suo principale protagonista. Enrico Salza è stato tutto: imprenditore, editore, banchiere ma soprattutto uomo di potere. Lui che come il suo mito – il quasi omonimo Hermann Von Salza, quarto Grande Maestro dei Cavalieri Teutonici, pseudonimo usato per firmare una newsletter destinata a pochi e riservati destinatari – ha voluto vedere “opportunità dove altri vedono solo problemi e utilizzare le capacità e i capitali di altri uomini per fare cose che nessuno aveva immaginato possibili prima”.

Compiute le 86 primavere, per il geometra che honoris causa il Politecnico laureò ingegnere negli anni in cui a Torino “non si muove foglia che Salza non voglia”, è tempo di fare il bilancio di un’esistenza ispirata a quel “doverismo” di marca sabauda che è un po’ la versione al gianduia dell’esprit calvinista. «È il racconto della mia vita professionale e vuole restituire il senso e la morale delle scelte che ne sono state alla base» scrive nella prefazione a Sapremo fare la nostra parte, il libro che raccoglie un anno di interviste curate dall’economista Giuseppe Russo integrate da una selezione degli scritti che ripercorrono le sue “scelte etiche” dagli anni Sessanta e che sarà presentato domani alle 17 all’Auditorium del Grattacielo di Intesa Sanpaolo a Torino.

Figlio di un direttore d’orchestra morto giovane, è cresciuto con la madre Francesca Palazzi e le vecchie zie, proprietarie di un’azienda di fiammiferi a Trofarello, la Lavaggi, marchio famoso per i cerini e per i simboli massonici sulle sue scatolette. Da piccolo voleva diventare tranviere, a 14 anni prete ma ben presto scopre la sua autentica vocazione e il fuoco dell’azione ha preso il sopravvento. «Se per nascita avrei potuto probabilmente vivere una vita di agi, per cultura familiare la strada è stata invece battuta passo a passo ed è stata spesso ripida, lastricata anche di qualche inciampo. Ma ho avuto sempre il modo e la forza di rialzarmi, grazie ai maestri che ho avuto la fortuna di incontrare e ai collaboratori con cui ho lavorato e che con lealtà hanno condiviso gli obiettivi».

Come ricorda Ettore Boffano in un celebre ritratto la scalata del potere è stata rapida: “incredibile eppure quasi scontata nella Torino degli Anni ’60 dove ci sono solo gli Agnelli e il resto è il vuoto”. L’esordio in politica è nel Pli, in quella sinistra del partito che fa la fronda a Malagodi, con lui c’è Valerio Zanone, di cui è stato amico più che fraterno e sodale. Nel 1966 diventa il primo presidente del Gruppo Giovani dell’Unione Industriale, nel 1968 è tra i promotori della Commissione Pirelli che cerca di dare uno scossone al sistema confindustriale ancora fermo all’era di Angelo Costa. Sull’onda di questo “riformismo imprenditoriale” conquista prima l’organizzazione di via Fanti e poi la Camera di Commercio, intuendone per primo il ruolo di cerniera (e di fenomenale macchina di nomine). Lui, l’americano (si vocifera di stretti rapporti con i servizi Usa) stringe alleanze prima con il leader della sinistra sociale della Dc, Carlo Donat-Cattin, poi con gli ex comunisti di Piero Fassino: un connubio che diede vita a quel “patto tra produttori” che costituì l’impianto “ideologico” a un’egemonia politica e di potere, dominante per un ventennio. Generoso negli atti e a tavola, al suo desco si sono attovagliati in tanti, al punto che per diventare “salziani” occorreva sopravvivere a pranzi interminabili e, soprattutto, alla prova del dito infuocato nella grappa. Kaiser Salza, Enricone, Bibendum come l’omino della Michelin, Gommone per la sua capacità di navigare nonostante la stazza: tanti i nomignoli, più o meno affettusi, che gli sono stati affibbiati.

Ma l’apoteosi si compie nel 1985: la vicepresidenza del San Paolo, l’estromissione nel ’93, il rientro nel ’95 fino alla fusione con Intesa, il suo “capolavoro” preparato dalle “Dieci idee per Torino” per favorire l’integrazione con Milano e, soprattutto, prevenire i malmostosi che ne ravvisavano la capitolazione del capoluogo piemontese alla finanza lombarda. Di quella stagione resta, a imperitura memoria, il grattacielo di corso Inghilterra, i cui oneri urbanistici contribuirono in maniera preponderante a salvare i bilanci del Comune. Dove, nel frattempo, si sono succeduti gli amici Valentino Castellani, Sergio Chiamparino e Fassino.

Con l’ex sindaco della “rinascita” a omaggiare Salza, oggi presidente di Tinexta, ci saranno Mario Deaglio, l’economista che da presidente del Sole 24 Ore volle a dirigere il foglio confindustriale, e l’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky. Spetterà a Gian Maria Gros-Pietro portare i saluti della “sua” banca mentre a un “salziano doc” come Piero Gastaldo, ex assessore della giunta Castellani e a lungo segretario della Compagnia di San Paolo, toccherà illustrare i meriti della pubblicazione editata dalla Fondazione 1563 di cui è presidente e tessere gli elogi del suo antico pigmalione.

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