A Torino ci pensa Bloomberg

Il sindaco di Torino chiama New York, e la Grande Mela risponde inviando un pacchetto di aiuti diretti all’amministrazione comunale. Qualche giorno fa, alcuni docenti dell’Università Johns Hopkins sono atterrati, presumibilmente a Malpensa, per insegnare ai tecnici di piazza San Giovanni come semplificare le pratiche edilizie. 

In effetti, di tutti i problemi che attanagliano la metropoli pedemontana, quelli che riguardano i permessi urbanistici sono assolutamente da considerarsi prioritari: a tal punto da costringere il primo cittadino a invocare nuovamente il sostegno della Fondazione Bloomberg. 

I due esperti newyorkesi sono già all’opera sotto la Mole, grazie alla collaborazione tra la Harvard Kennedy School, la Harvard Business School e la Fondazione stessa: colossi americani che si prefiggono l’obiettivo di formare, a livello gestionale, i dirigenti e i funzionari di alcune città europee, tra cui Torino. 

La Fondazione Bloomberg, voluta dall’ex Sindaco di New York Michael Bloomberg, sostiene progetti diretti agli amministratori delle metropoli, trattando argomenti che spaziano dalla formazione sino alla sostenibilità ambientale. Tempo addietro, all’interno di questo complesso di aiuti a Palazzo di Città, Amanda Bloomberg è stata messa al lavoro sul tema urbanistico, con lo scopo di redigere un nuovo Piano Regolatore Generale che tenga conto dell’esigenza di trasformare Torino in un capoluogo più attrattivo di investimenti esteri, nonché di turisti. 

Secondo la Fondazione a stelle e strisce la “nuova” Torino, che di fatto ha già perso la Galleria Subalpina a favore di speculatori statunitensi, sarà in espansione nei prossimi anni. Un enorme sviluppo della città che la Fondazione giudica inevitabile, per cui ritiene allo stesso tempo necessario dotare gli uffici tecnici di procedure snelle: utili a sostenere imprenditori e professionisti orientati a stabilirsi sul territorio subalpino. In questa prospettiva si riscontrano i germi di una riforma del tessuto urbano attenta anzitutto al business, che tende a trasformare la città in un satellite di Milano, e al contempo poco sensibile alla comunità dei torinesi (di vecchia data o recenti essi siano).

La nuova epoca è già iniziata, e si palesa tramite una serie di recenti scelte attuate dall’amministrazione cittadina. In primis la decisione di costruire un nuovo ospedale (edifici di cui c’è sempre bisogno alla luce dei tanti che sono stati chiusi negli anni) sopra una porzione del Parco della Pellerina. Regione Piemonte e Comune di Torino, promuovendo tale progetto edilizio, hanno negato l’importanza di conservare integre i territori verdi urbani: mai sufficienti per tutelare l’Ambiente e la salute dei cittadini. 

Malgrado le innumerevoli aree dismesse nella zona circostante la Pellerina, le ruspe prenderanno il posto originariamente riservato ai giostrai, sul lato sterrato del Parco. L’ulteriore nota dolorosa è proprio quella inerente la loro futura collocazione: i giostrai, a causa degli eventi edificatori, saranno infatti costretti a cercare una nuova residenza, condannando così un altro parco cittadino al sacrificio nel nome della “Nuova Torino” (fonti autorevoli vociferano possa trattarsi del Parco di Piazza d’Armi).

Evidentemente le “procedure snelle” sono molto utili soprattutto quando occorre azzerare partecipazione e dissenso, come accade oramai quotidianamente laddove arrivano i fondi del Pnrr. Queste innovative forme procedurali sono state sperimentate ampiamente alla Pellerina, obbligando i cittadini contrari allo sbancamento del Parco a presentare in Consiglio comunale una delibera di iniziativa popolare, accompagnata da oltre 1.600 firme, che ribadisce l’imprescindibile integrità dell’area verde. Un estremo tentativo di farsi ascoltare dalle istituzioni, realizzato dai cittadini raccolti intorno al “Comitato Salviamo la Pellerina”, ma purtroppo vano. L’atto purtroppo non è riuscito a fare breccia nella maggioranza, inducendo i suoi promotori a proporre ai torinesi un referendum consultivo sul futuro di quella porzione della città.  

Allo stesso modo, qualche mese fa, coloro che da decenni gestivano le botteghe artigianali nella via centrale del Borgo Medioevale (Parco del Valentino) sono stati sfrattati con atto d’autorità, e immediatamente esecutivo. Nel nome delle opere di valorizzazione del sito storico non è stata ammessa alcuna contro osservazione proveniente da chi lavorava e risiedeva in quel luogo. Allo stesso modo, ultimamente, sono stati sloggiati di fatto i frequentatori di un centro anziani e di una palestra popolare a Mirafiori Sud, per far spazio ad opere finanziate, ancora una volta, dai fondi Pnrr. Infine, l’abbattimento di alcune alberate di corso Belgio è avvenuto con l’appoggio di reparti della celere schierati per contenere l’ira dei residenti che si opponevano alla rimozione dell’essenze arboree: la motosega ha compiuto la sua opera tra cori di proteste dei cittadini increduli.

La nuova Torino nascerà in un laboratorio di New York e sarà edificata sulle ceneri dell’attuale Piano Regolatore, ricreando ai piedi delle Alpi il quartiere (o meglio, la divisione) di Manhattan (con tanto di senza tetto relegati ai margini dei rioni di lusso). 

Una tabula rasa dei beni comuni, e spazi pubblici, attende i torinesi: vittime silenti di un business che vantaggia pochi e in compenso danneggia tutti gli altri.

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