GLORIE NOSTRANE

Zangrillo: "Non mi candido" (tanto non ha un voto)

Vedi mai che qualcuno tiri fuori l'idea di chiedere ai ministri di scendere in campo per trainare Forza Italia. Lui resta in trincea a Palazzo Vidoni, da cui però potrebbe presto sloggiare. Microstoria di un mediocre di successo con meriti famigliari

“Non mi candido alle europee e il nostro obiettivo non è superare l’alleato ma andare in doppia cifra”. Mette le mani avanti, Paolo Zangrillo, vedi mai che a qualcuno in Forza Italia venga la malsana idea di schierare pure i ministri per trainare la lista degli orfani di Silvio Berlusconi. Del resto, al solo pensiero di dover andare a caccia di preferenze gli tremano i polsini: mai preso un voto, eletto in liste bloccate o in collegi uninominali, grazie alla “meritocrazia famigliare” – è fratello di Alberto, a lungo medico personale del Cav. – è arrivato senza un solo giorno di militanza sul groppone a guidare il partito azzurro in Piemonte, poi a sedersi sugli scranni in parlamento e, infine, per giochi correntizi (all’epoca era ronzulliano) a entrare nel governo Meloni. Manco alle comunali di Moncalieri, città in cui è residente, ha sentito il dovere di capitanare la lista, subodorando la Caporetto delle urne: zero eletti.

Di politica ne ha masticata poca, di sezioni e piazze ne ha battute ancor meno: “Zangrullo”, nomignolo cattivello nato da un refuso della Busiarda, non si crede di certo Churchill, piuttosto un Attlee in sedicesimo (“Un uomo modesto con tutte le ragioni di esserlo”). Zangrillo, nella sua precedente vita da manager delle terze file nel gruppo Fiat, si gode giustamente il momento, anche se rumors romani lo danno per spacciato nel rimpasto che Giorgia Meloni ha intenzione di fare subito dopo le europee. L’attuale titolare della Pubblica Amministrazione non vorrebbe andarsene da Palazzo Vidoni dove si fa vedere lo stretto necessario, non è assillante di richieste né particolarmente esigente: ama il quieto vivere, un Bengodi per dirigenti e funzionari che ancora devono smaltire la furia del predecessore, quell’ipercinetico di Renato Brunetta. Dovrà fare le valigie, confermano i veleni di Palazzo Chigi, assieme all’altro compare di partito e corregionale: Gilberto Pichetto Fratin, gentiluomo gaffeur della piccola nobiltà terriera biellese, da tutti ormai soprannominato “Pochetto”.

Ospite a Un Giorno da Pecora su Rai Radio1, Zangrillo è stato impeccabile nell’esercizio del luogo comune. In consiglio dei ministri regna un’armonia “ottimale. Sulle cose importanti siamo sempre stati d’accordo, in quest’anno e mezzo abbiamo lavorato in grande sintonia”. Al più, concede c’è “qualche atteggiamento ma siamo in campagna elettorale”. Vabbè. “Il garantismo è uno dei valori del nostro partito – ha detto invece a proposito della collega Daniela Santanché –. Io non ho nessun imbarazzo. Lei rimane nel Cdm perché ci sono le condizioni perché lei continui a lavorare”. I test psicoattitudinali per i magistrati? “Sono un provvedimento a tutela del cittadino perché il magistrato ha in mano la libertà dei cittadini. Quando prendo un aereo voglio esser sicuro che chi lo guida sia una persona che sta bene, e allo stesso modo auspico che il magistrato che decide della mia vita sia apposto”. Come dargli torto, eppoi non era forse uno degli obiettivi del Cavaliere? “Certamente Berlusconi auspicava una magistratura di persone che esercitassero con cognizione il loro mestiere, quindi sarebbe contento per questo provvedimento”. Farebbe questo tipo di test anche per i ministri? “Prima di arrivare ai test psicoattitudinali penserei a qualche percorso che consenta di verificare che una persona abbia esperienze adeguata a ricoprire un determinato ruolo”. Tipo aver fatto in passato almeno il consigliere di condominio?

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