SANITÀ

Visite a pagamento, "più controlli". Regioni bacchettate dal Governo

Sotto la lente il rapporto tra prestazioni fornite al servizio sanitario e quelle in intramoenia. Mesi di attesa per una visita che lo stesso medico, se si mette mano al portafoglio, esegue in pochi giorni. Lo specialista ospedaliero che lavora in sette ambulatori privati

Vederci più chiaro sulle visite a pagamento che abbreviano moltissimo i tempi di attesa rispetto a quelle fornite dal servizio sanitario e spesso effettuate dallo stesso specialista in regime di intramoenia. È ciò che annuncia il Governo e, almeno si auspica, dovrà farà ciascuna azienda sanitaria per probabilmente scoprire che c’è più di qualche cosa che non va come dovrebbe in questo sistema che consente ai medici ospedalieri di vestire un doppio ruolo rispetto alle esigenze dei pazienti.

“Si prevede di rivedere il sistema di monitoraggio dei tempi di attesa delle prestazioni in attività libero professionale intramuraria, che sarà raffrontato con quelli per le prestazioni istituzionali per valutarne l’allineamento”. L’annuncio è del sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato che ha affrontato una delle questioni di maggior peso sulla lunghezza delle liste d’attesa, rispondendo a un’interrogazione parlamentare.

Nel cambio di passo anticipato dal sottosegretario non c’è solo l’implicita ammissione dell’inadeguatezza degli attuali controlli sul bilanciamento tra visite e accertamenti diagnostici erogati dal servizio sanitario e quelli a pagamento, cui sempre più pazienti si rivolgono proprio per non poter attendere tempi inaccettabilmente lunghi. C’è, altrettanto implicita, la consapevolezza di una sproporzione tra il numero di prestazioni per cui si paga, eventualmente, solo il ticket e quelle per cui si devono sborsare centinaia di euro, di cui solo una piccola percentuale deve essere versata dallo specialista all’azienda sanitaria o ospedaliera da cui dipende.

Un fenomeno di distorsione che non è mai stato affrontato dai vertici di Asl e Aso che anzi, come accade in Piemonte non diversamente che nel resto di molte altre regioni, sono di manica larga nel concedere ai medici di svolgere l’attività intramuraria al di fuori delle strutture pubbliche e quindi potenzialmente meno soggetti a controlli. Esercitare la libera professione al di fuori dei locali dell’azienda sanitaria da cui dipendono è concesso ai medici, solo nel caso in cui la struttura pubblica quei locali e quelle dotazioni non li possegga. Ma è davvero sempre così? Sembra una leggenda metropolitana, ma non lo è, quella dello specialista che in una provincia del Piemonte esercita l’intramoenia in più di cinque studi privati. Un caso limite? Certo sarebbe interessante verificare le motivazioni a sostegno delle necessarie autorizzazioni che la legge prevede debbano essere chieste ed eventualmente concesse annualmente. E, ancora, non mancano camici bianchi che difendono strenuamente il sistema pubblico, puntando il dito contro il privato, ma poi basta scorrere i siti delle Asl per trovare vicino ai loro nomi cifre anche considerevoli alla voce “attività libero professionale”. Una situazione cui, a fronte die tempi biblici della liste d’attesa, non è possibile mettere mano?

Interrogativi cui, forse, potrebbero dare una risposta quei più attenti e costanti monitoraggi annunciati dal Governo e che le Regioni dovranno attuare. Così come le stesse Asl dovrebbero applicare la legge che prevede il rimborso delle prestazioni ricevute in intramoenia nel caso in cui i tempi indicati per la visita prenotata al Cup col servizio sanitario superino quelli indicati dalla prescrizione. 

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