SANITÀ

Paladini della sanità pubblica in piazza, incassano fior di parcelle nel privato

Sempre più medici dipendenti delle Asl esercitano la libera professione. Orari pesanti, lavoro stressante però resta il tempo per le visite a pagamento, mentre le liste d'attesa si allungano. Il caso dell'anestesista candidato nel Pd che lavora anche in clinica

Orari di lavoro massacranti, burnout incipiente più del raffreddore in inverno, l’impiego nel pubblico come rivendicata scelta etica, l’attacco al privato come missione salvifica. Tutto ineccepibile, incontestabile di fronte a ciò che succede ogni giorno negli ospedali, così come nelle abitazioni dei pazienti alle cui richieste di una visita o un esame si sentono rispondere date avanti di mesi se non di anni e allora, coloro che possono, mettono mano al portafogli. Ineccepibile e incontestabile fino a quando a farsi paladini della sanità pubblica e difensori di questa dalla supposta avanzata di quella privata sono medici che lavorano, nelle condizioni lamentate e descritte pocanzi, ma non rinunciano poi a diventare pure loro “privati”. 

A scanso di fraintendimenti, la doverosa premessa che tutto ciò che raccontiamo è del tutto legale, legittimo e completamente all’interno delle leggi. Ma quella che sta apparendo sempre più chiara in una parte della classe medica ospedaliera, spesso legata alla sinistra, che della difesa della sanità pubblica fa una battaglia indicando nel privato il nemico, è proprio una grande ipocrisia.

Quindi non c’è da sorprendersi se ai tanti like sotto il post in cui rivendica il suo ruolo di medico del servizio pubblico, spiegando che si sentirebbe a disagio nel caso in cui dovesse farsi pagare, Luca Sivera, candidato alle regionali in Piemonte per il Pd, diventi l’emblema della doppia morale. Sono soldi che, ribadiamo, l’anestesista dell’Asl To3, ha percepito legittimamente, tutto dichiarato. Solo che la voce riferita a 17.241 euro nel 2019, 24.494 euro nel 2020 e 31.743 l’anno successivo è quella relativa alla “libera professione”. Lo stesso Sivera, insieme a non pochi altri colleghi, figura nell’elenco del 2024 dell’Asl To3 che comprende i medici autorizzati all’azienda a svolgere l’attività libero professionale in intramoenia presso uno o più case di cura private.

Un elenco che conta 51 professionisti di questa Asl e che conferma i dati nazionali e regionali secondo cui è in costante e notevole aumento il numero di medici ospedalieri che esercita anche come privato. Un privato che, a quel punto, diventa un po’ meno nemico, rispetto a quanto non lo si descriva quando giustamente si vuole difendere il pubblico.

Del resto anche uno strenuo difensore della sanità pubblica come il quasi ex consigliere regionale, sempre del Pd, Mauro Salizzoni nel 2018 alla fine di un’eccezionale carriera che lo ha consacrato tra i massimi luminari nei trapianti di fegato, risultava aver dichiarato alla Città della Salute 165mila euro solo per l’attività libero professionale in regime di intramoenia. Si dirà, ed è vero, che questa possibilità venne concessa ai medici una trentina di anni fa per compensare gli stipendi non certo al pari di quelli di molti Paesi europei e proprio per arginare una possibile migrazione verso il privato. È altrettanto vero, però, che le maglie si sono fatte sempre più larghe rispetto alla possibilità di esercitare la libera professione al di fuori delle strutture pubbliche e ai controlli sul rapporto di quantità di visite erogate dal servizio sanitario e a pagamento. 

Ma è proprio il concetto di privato, spesso e non a caso mirato a individuare le cliniche e gli ambulatori, a uscire distorto anche nella versione politica tesa a difendere il servizio pubblico dove, è bene ricordare, non sono pochi i medici che fanno solo quello, senza neppure un’ora di libera professione. Perché anche le migliori intenzioni di chi sfila, com’è avvenuto anche a Torino, inneggiando alla difesa della sanità pubblica, quando poi si sceglie di essere anche “privato” si appannano nella grande ipocrisia.

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