MALAGIUSTIZIA

Padovano: "I miei 17 anni all'inferno"

Il calvario dell'ex attaccante bianconero. Il giro delle carceri e poi i domiciliari, i soldi che finiscono. Fino all’assoluzione. Non aveva neanche quarant'anni quando lo arrestarono, oggi ne ha 56. E spera in un futuro da direttore sportivo

10 Maggio 2006. Michele Padovano ha appeso le scarpe al chiodo e si sta candidando alle amministrative di Torino, al fianco del sindaco Sergio Chiamparino con i Moderati di Mimmo Portas. Si è portato i santini a una cena con gli amici, ma lo arrestano all’uscita dal ristorante. I carabinieri gli mettono la faccia a terra, come a un narcos. Lui è sgomento, pensa a uno scherzo, tra i tanti in voga all’epoca soprattutto ai danni dei calciatori. Invece lo portano in carcere: dalla caserma di Venaria lo spediscono a Cuneo, dove si fa 10 giorni di isolamento. Aveva in mano solo l’ordinanza con cui lo hanno arrestato, la impara a memoria e, nel silenzio della cella, si convince che il disguido verrà chiarito presto. Niente da fare: lo portano al carcere di Bergamo, dove resta 3 mesi. Il benvenuto glielo dà una guardia carceraria: “Ora i tuoi soldi te li puoi ficcare nel culo”.

Oggi è sereno Padovano. Il 31 gennaio 2023, dopo 17 anni, è stato assolto dall'accusa di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Non coltiva vendetta né si abbandona ai rancori, racconta ai microfoni di Storie di serie A: “Ho sempre creduto nella magistratura e nella giustizia”. A lui invece i magistrati hanno creduto soltanto all’ultimo. Perché dopo il periodo a Bergamo, dove vede l’Italia vincere i mondiali dalla cella, si fa nove mesi di domiciliari, seguiti da un ulteriore periodo con l’obbligo di firma. Non ha mai pensato di cedere o, peggio, di farla finita: “Ho carattere”, spiega con poche parole. Poi pensa a suo figlio (“gli hanno distrutto l’adolescenza”), e alla moglie che “ha sopportato tante cattiverie”, ma senza farsi ribollire il sangue. Gli hanno dato otto anni e otto mesi in primo grado, sei anni e otto mesi in appello fino all’annullamento in Cassazione. 17 anni terribili in cui “non c’era giorno in cui non andavo a letto senza pensare a come risolvere questa vicenda”.

All’origine di tutto, il prestito a un amico di 36.000 euro. Lui non aveva la fedina penale pulita, così Padovano consegna i soldi alla moglie. Sono per un cavallo, ma i magistrati credono si tratti di cocaina. Non è il primo qui pro quo che gli capita. Parlava col giardiniere dell’erba tagliata, pensavano avesse sacchi di marijuana da smerciare. “Dopo 5 ore di interrogatorio non sapevo neanche come mi chiamavo. Quindi a volte non riesci a spiegare la verità”. Intorno gli si crea il vuoto, come succede sempre a chi da una posizione di potere, si trova gettato nella polvere: “Le persone mi erano vicine per quello che avevo, non per quello che ero”. Aveva tenore di vita, proprietà, soldi. Oggi rimane poco. Ha speso “tutto”, dice senza voler andare sui numeri, “sfido chiunque, dopo 17 anni senza entrate”. Anche nel mondo del calcio sono in pochi a stargli accanto, con la felice eccezione di Gianluca Vialli. Con lui ha vinto l’ultima Champions della Juventus, nel 1996, ma Vialli ha sempre chiesto di lui alla moglie di ritorno dalle visite in carcere.

Ora Padovano sogna un ritorno nel mondo del calcio: “Ho l’attestato da direttore sportivo, mi piacerebbe restituire quello che ho ricevuto dal mondo del calcio”. Intanto si rilassa col biliardo, che pratica da professionista. A settembre c’è il mondiale, ma a lui basta solo partecipare alle qualificazioni. Saranno a Settimo e a Rivoli, dietro casa per un torinese come lui.

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