GRANA PADANA

Salvini suona la tromba per Vannacci, la Lega ascolta il silenzio di Calderoli

Cresce il fronte del no al generale. Da Zaia a Fedriga, da Fontana a Molinari, i big del partito bocciano la decisione del Capitano. Ci si prepara al dopo elezioni: in caso (probabile) di débâcle sarà il ministro delle Regioni a traghettare il partito

Un occhio ai risultati, l’altro a Roberto Calderoli. Tra non pochi maggiorenti della Lega, dopo l’annuncio della candidatura di Roberto Vannacci per loro indigeribile pure con un quintale di Maalox, si prevede così quel che succederà il giorno successivo al voto europeo e in quelli che seguiranno. Che l’esito delle urne sarà cruciale per Matteo Salvini e il suo prosieguo o meno alla guida del partito, ormai, lo sanno pure i sassi così come è lampante l’azzardo del Capitano con la sua decisione di candidare il generale. 

Non altrettanto evidente, ma non per questo affatto immotivata, la ragione del suggerimento ad attendere mosse e parole del ministro degli Affari Regionali, in questo caso nella veste di grande saggio e potenziale traghettatore tra una Lega che potrebbe esaurire anche gli ultimi residui della sua spinta propulsiva dovendone cercare di nuovi, Magari in un passato troppo frettolosamente e vistosamente gettato alle spalle dal leader.

Nessuno stupore per le reazioni, che vanno aumentando, all’annuncio temuto da molti nel partito e che il segretario ha inteso carica di ulteriore significato facendolo coincidere con la data della Festa della Liberazione. Sempre più evidente e larga la crepa tra buona parte della Lega, a partire dai massimi esponenti della sua classe dirigente, e Salvini rispetto alla decisione del tutto personale e autonoma del leader di piazzare in ogni circoscrizione elettorale l’ex comandante del Col Moschin, assurto alla notorietà per il suo libro Il mondo al contrario e i pensieri in esso contenuti. Se già era un segnale molto pesante quello espresso dall’ex ministro Gian Marco Centinaio nel lapidario commento in previsione della discesa in campo del generale – “Voterò per chi si è fatto il mazzo sul territorio” – ancora più esplicite le parole arrivate nelle scorse ore da un big come il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, il cui nome peraltro gira da tempo come possibile futuro segretario nel caso della débâcle salviniana alle europee. “Vannacci? Io voterò per i candidati del Friuli-Venezia Giulia”, la lapidaria risposta di Fedriga. E quando lui, come Centinaio e come tanti altri dicono “voterò”, quell’annuncio non va letto solo come l’espressione personale sulla scheda, ma ovviamente come indicazione a migliaia di elettori. 

L’aria di insubordinazione al Capitano passando per il mancato sostegno (per non dire di più) al generale si mescola e diventa un tutt’uno col vento del Nord. “Cosa c’entra il generale col partito? Gli imprenditori chiedono altro per l’Europa”, taglia corto il Doge Luca Zaia, un altro cui non manca certo la forza elettorale e di consenso per potersi permettere di non prendere ordine da Salvini, figurarsi quello di stare in lista per cercare di placare gli animi del Nord Est davanti al basco della Folgore, almeno fosse stato un cappello d’Alpino.

Apparentemente meno dura, ma è solo l’effetto della proverbiale moderazione anche nelle parole, la reazione del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, nella doppia veste di segretario regionale per il Piemonte. “La precedenza agli uscenti e ai militanti storici”, aveva avvertito colui che insieme a Fedriga viene indicato tra i possibili successori. Molinari non dice, però, solo questo. Proprio nello stesso giorno scelto da Salvini per annunciare la candidatura del generale che non vuole dirsi antifascista, il capogruppo a Montecitorio in un’intervista allo Spiffero rivendicava con forza il suo essere antifascista ed esserlo tra le fondamenta della Lega fondata da Umberto Bossi. Quell’intervista il cui titolo in altri tempi avrebbe fatto drizzare i peli nell’ultimo partito leninista – “Non possiamo non dirci antifascisti”. Molinari “controvento” a Salvini – è stato ripostato sulla pagina facebook del partito proprio nella sua provincia. Anche questo più eloquente di una manica a vento, per capire in che direzione tira l’aria. La stessa alimentata dal no al generale in lista espresso in maniera decisa da una figura come quella del presidente della Camera Lorenzo Fontana, area ultraconservatrice della Lega, ma anche attento conoscitore delle dinamiche del partito in quel Nord Est dove è più probabile maturi la giubilazione del Capo nel caso di un flop il 9 giugno.

Al fronte del no a Vannacci, s’iscrivono d’ufficio tutti gli europarlamentari che cercano di tornare a Bruxelles e quei leghisti di lungo corso e di altrettanto lunga militanza che finalmente arrivati a poter cullare il sogno europeo non ci stanno proprio ad essere snobbati e insidiati manu militari. 

Tante, come s’è visto, le voci contrarie cui da qui in avanti se ne aggiungeranno altre. Ma c’è un silenzio che dice molto più di tante parole, come ben sanno coloro che conoscono gli interna corporis di via Bellerio. È quello di Calderoli, per molti il traghettatore cui affidare l’uscita dalla palude stigia, la figura forse unica cui aggrapparsi per non finire ancor più risucchiati nel gorgo nazionalista, ultradestrorso e col rischio incombente di un Papeete bis. Chi lo conosce bene prevede che difficilmente Calderoli romperà il silenzio. E non certo per condivisione della linea del leader, tantomeno sulla scelta di candidare Vannacci. Più realisticamente perché sarà al momento dell’esito del voto che tutta quella gran parte della Lega, ormai stremata ed esausta da una guida (mal)destra e troppo strabica rispetto al Nord e le radici identitarie che l’avevano fatta grande, guarderà a lui se non come all’uomo della provvidenza, certamente della sopravvivenza.

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