GRANA PADANA

Vannacci è un "colpo al cuore".
Così Salvini ha cambiato la Lega

La candidatura del generale in Europa solo l'ultimo (per ora) passaggio della strategia del segretario. Sale la protesta e le preoccupazioni in vertici e base. Da Durigon a Valditara, le sterzate a destra e l'allontanamento dal Nord e dalle origini

Non l’hanno visto arrivare. Solo quando il basco amaranto del generale Roberto Vannacci è apparso una macchia sul verde di ciò che restava del pratone di Pontida e perfino del già digerito blu con cui Matteo Salvini aveva voluto ridipingere il partito coprendone buona parte delle origini, solo allora dai massimi vertici alle seconde e terze fila fino ai militanti più attenti si sono resi conto di aver sottovalutato più di un’avvisaglia di quanto sarebbe successo. O meglio, di quanto il segretario avrebbe deciso con una forzatura senza precedenti. Domani i due saranno insieme, uniti dalla comune passione letteraria, a presentare la “fatica” del Capitano, quel Controvento arrivato già alla seconda ristampa.

L’arrivo dell’ex comandante del Col Moschin, paracadutato sul fronte delle europee e accolto dalla Lega (eccetto una ristretta cerchia di fedelissimi del Capitano) come una granata piovuta in trincea, in verità è solo (per ora) il completamento di un’operazione che Salvini ha incominciato da tempo per spostare sempre più a destra il partito. Un inascoltato tintinnar di sciabole incarnate e nascoste in scelte e nomi che oggi suonano in maniera diversa alle orecchie di chi si trova l’autore de Il mondo al contrario protagonista della traduzione politica di quel titolo, insopportabile fardello sulle già ricurve spalle del partito fondato da Umberto Bossi.

Adesso, mentre la Lega è una pentola a pressione con esponenti di primissimo piano che non usano neppure un giro di parole per manifestare la loro totale contrarietà a vedere il nome del generale nelle liste, perdipiù in tutte le circoscrizioni e quasi certamente ovunque come capolista. Con i militanti del Nord pronti a far coriandoli dei santini di Vannacci, concreta minaccia per gli altri candidati, incominciando dagli uscenti, “quelli – per usare la sintesi di Gian Marco Centinaio – che si sono sempre fatti il mazzo”, mentre migliaia di chat ribollono, in qualcuna più riservata si trova quel che era lì, ma nessuno o pochi l’avevano visto o voluto vedere. Il piano “solo” di Salvini, sicuramente condiviso con i suoi più stretti, quelli che, come il fedelissimo Andrea Crippa e non molti altri, difendono e plaudono la scelta di candidare il generale e con lui di andare ancora più a destra, “trasformando il partito in qualche cosa che non risponde più a quel che pensa il partito vero”, com’è ormai pensiero comune agli alti livelli di quel che un tempo si sarebbe indicato come via Bellerio.

È stato un tintinnio che richiamava al futuro, oggi presente, la trasformazione in forza politica nazionale del partito nordista, così come lo è stato il colpo di bianchetto sul “Nord” sparito da simboli e manifesti come il verde. Una svolta che si sarebbe trascinata dietro un Sud con pochi voti e tanti cacicchi sempre pronti sul mercato della politica con l’alta probabilità di incorrere nell’incauto acquisto. Ma c’era l’onda lunga del successo elettorale, delle cifre ben al di sopra del 30 per cento, a nascondere quei suoni di avvertimento. E c’era, non va dimenticato, una classe dirigente ben consapevole di esserlo nell’ultimo partito leninista rimasto, con tutto ciò che ne consegue. 

Oggi arriva Vannacci, ma prima sul Carroccio sempre meno iconografico delle origini e delle fondamenta a salire era stato ben al di sotto della linea gotica Claudio Durigon che avrà pure gli avi braccianti agricoli veneti migrati nell’Agro Pontino, ma nei suoi meno lontani trascorsi c’era la candidatura senza elezione nella lista di Francesco Storace per le regionali del 2013. Diventerà parlamentare e pure ministro, l’ex sindacalista dell’Ugl passato alla Lega. Da sottosegretario e ormai uomo di potere della Lega nel Centro-Sud se ne uscirà con la proposta di cambiare l’intitolazione del parco Falcone e Borsellino della sua Latina, ripristinando l’omaggio ad Arnaldo Mussolini

Arrivano le elezioni del 2022 e Salvini già ci arriva inseguendo Giorgia Meloni, spostandosi sempre più a destra di lei. Alla presidenza del Senato s’insedia Ignazio La Russa, per la Camera tutte le previsioni danno per scontato il capogruppo della Lega Riccardo Molinari, ma Salvini stravolge i pronostici e pure altro preferendogli Lorenzo Fontana, cattolico ultraconservatore e considerato nella geografia del partito tra i più a destra, quella destra veneta che poco o nulla c’azzecca con il Doge Luca Zaia e l’autonomismo nel nome di San Marco e della locomotiva economica del Nord Est. 

Oggi arriva Vannacci, ma le incursioni salviniane dietro le linee amiche erano incominciate da tempo, continuando nella formazione del Governo. Muove i primi passi in politica nella Fondazione Bruno Salvadori presieduta dall’ideologo della Lega Gianfranco Miglio l’uomo che Salvini sceglie per il ministero dell’Istruzione cui si aggiungerà il Merito, il cattedratico Giuseppe Valditara, ordinario all’Università di Torino. Un paio d’anni più tardi Valditara scende dal Carroccio e passa in Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, di cui sarà responsabile scuola e Università. Di An sarà anche parlamentare nel 2001 e per altre tre volte. Segue Fini in Futuro e Libertà, ne diventa responsabile per la Lombardia, poi della sua attività politica si perdono le tracce come della mancata impresa finiana. Torna nel 2018 e lo si ritrova nella Lega. Poco dopo Salvini lo vuole suo consigliere politico. Manca l’elezione nel 2022, ma il segretario per lui ha pronto il posto da ministro.

Tra poco più di un mese il generale cui manca solo essere paragonato da Salvini a De Gaulle (ma pensando a Marine Le Pen), quasi certamente arriverà al Parlamento Europeo da indipendente e quindi senza dover dire signorsì a nessuno, men che meno al Capitano che pure lì lo ha piazzato, scegliendo non a caso il 25 Aprile come giorno per annunciarne la discesa in campo. Giorni brutti per tutta quella – ed è tanta – Lega che non la digerisce. Da Zaia a Fedriga, da Molinari a Centinaio e via in un lungo elenco di quelli che contestano la scelta del Capo. Un coro che cresce anche da chi non ha la notorietà degli appena citati, ma conosce e ha presa sul territorio. “Non voterò Vannacci. Ci sono tante altre brave persone della Lega da votare” scrive in un post Francesco Pietrasanta, sindaco di Quarona, quattromila abitanti, nel Vercellese. “Mi dissocio totalmente – aggiunge – da questo nome e spero presto in un repulisti”. A dirlo così è uno dei pochi. Nella Lega specie al Nord, a pensarlo sono sempre di più.  

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