Il carisma del leader non si pianifica

Carlo Donat-Cattin diceva in uno storico congresso della Dc a metà degli anni ‘80 che “nella politica il carisma o c’è o non c’è. È inutile darselo per decreto”. Una riflessione che conserva una straordinaria attualità ancora oggi. Cioè in un contesto politico dove aumentano i capi ma scarseggiano i leader, per dirla con una felice espressione di Mino Martinazzoli pronunciata a metà degli anni duemila. Una deriva che, purtroppo, è cresciuta nel corso degli anni dopo il tramonto dei partiti democratici e collegiali e l’irrompere dei “partiti personali” e “del capo”. In questi ultimi casi più che non l’autorevolezza del leader ha preso il sopravvento l’autoritarismo del capo. E il carisma del leader, nel frattempo, si è progressivamente eclissato sino a scomparire del tutto. Questo è uno dei punti di maggior debolezza e difficoltà della politica contemporanea. E, di conseguenza, dei partiti che sono la naturale espressione e traduzione della democrazia.

Ora, è evidente a tutti che anche oggi ci sono dei leader politici. Persone, cioè, che si sono affermate nella battaglia concreta nella società e nel dibattito pubblico. Donne e uomini che, nel rispetto delle regole democratiche e del confronto nella società, sono emersi naturalmente come leader di un partito o di un movimento. Lo sono, per fare un solo esempio, Giorgia Meloni – checché ne dicano i radical chic della sinistra italiana nei vari salotti televisivi e negli editoriali della cosiddetta stampa progressista – e, sul fronte opposto seppur con altri metodi e modalità organizzative radicalmente diverse, Elly Schlein. Perché, di norma, i leader non sono mai il prodotto di una auto investitura o di una nomina dall’alto ma, al contrario, sono il frutto di una selezione democratica dal basso. Certo, per centrare questo obiettivo devono ritornare alcuni ingredienti essenziali: dalla politica intesa come partecipazione e costruzione di idee e visione della società al protagonismo dei partiti come strumenti di collegamento e di mediazione tra la società e le istituzioni; dalle culture politiche indispensabili per dare nobiltà all’elaborazione politica ad una classe dirigente che non viene nominata attraverso il criterio della fedeltà al capo ma cresce nella battaglia concreta e sofferta nella società.

Per queste semplici ragioni, se si è coerenti con la prassi della democrazia, il “carisma del leader”, principio caro a Donat-Cattin e a molti leader della vecchia Dc e della cosiddetta ‘prima repubblica’, è destinato ad emergere in tutta la sua forza. Perché il carisma, al di là di ogni altra valutazione, è l’unico criterio naturale ed oggettivo che segna la differenza tra un leader politico e un militante politico. E questo capita a qualsiasi livello istituzionale e in qualsiasi contesto sociale. Ma il tutto è piegato, comunque sia, al ritorno della politica e dei suoi strumenti costitutivi e qualificanti. Se dovesse continuare, malauguratamente, a persistere la deriva populista, qualunquista e demagogica dei 5 stelle e tutto ciò che ha comportato concretamente per il nostro paese questa sub cultura, anche il “carisma del leader” rischierebbe di essere ancora una volta sacrificato sull’altare dell’antipolitica e della negazione della politica stessa.

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