VERSO IL VOTO

Cirio ha un piano: espugnare Torino

Con l'esito finale pressoché scontato, alle regionali del Piemonte una delle poche incertezze è sulla tenuta del centrosinistra nel capoluogo. La concordia con Lo Russo è un plus per il governatore. E in campo ci sono tanti campioni di preferenza

Lasciamo perdere le malignità, quelle che dipingono Stefano Lo Russo talmente stretto nell’intesa “istituzionale” con Alberto Cirio da essere un’inconsapevole quinta colonna delle mire espansionistiche del governatore di centrodestra. “Viaggiano in coppia ma a guadagnarci è uno solo. E non è il sindaco”, sentenzia un noto professionista con alle spalle esperienze amministrative, dando voce a un umore piuttosto diffuso nel Pd e dintorni. Probabile che il rapporto tra i due non sia simbiotico e che alla fin fine l’empatica presenza del presidente langhetto abbia la meglio sull’algida compostezza professorale del sindaco. Una cosa però è certa, al di là di strampalate disamine psicosociali: le prossime elezioni regionali (ed europee) rappresentano per il centrodestra un’occasione d’oro per aprire una breccia nella cinta daziaria di Torino. E del resto il centrodestra non fa mistero che, in una competizione il cui esito è pressoché scontato, uno dei risultati più significativi sarebbe proprio quello di espugnare il capoluogo, che non sarà più la roccaforte rossa dei tempi di Diego Novelli ma rimane pur sempre un avamposto ben presidiato e piuttosto ostico da battere.

Dopo tanti tentativi infruttuosi, a giugno il centrodestra potrebbe mettere fine alla lunga stagione inaugurata nel 1993 con la “giunta dei professori” di Valentino Castellani, proseguita dal 2001 con il decennio della “sbornia olimpica” di Sergio Chiamparino, precipitata nel cono d’ombra di un declino ingenerosamente imputato a Piero Fassino. Persino la parentesi grillina di Chiara Appendino, rispetto all’immagine di dirompente quanto cialtronesca novità (per tacere dei fenomeni da baraccone comparsi dal nulla) non ha avuto i caratteri di una cesura netta con quella storia, esasperandone semmai i connotati più “di sinistra” (non a caso, trovando sostenitori e più o meno occulti suggeritori nei vari Airaudo, Grimaldi, Tricarico, Giusta). E così quando nel giugno 2021 il geologo del Politecnico vince le elezioni, la riconquista di Palazzo civico viene salutata da parte di Pd e alleati con tanta enfasi ma scarsa lucidità. Come se il ritorno al potere fosse sufficiente a riannodare quei legami con la città che erano andati sfilacciandosi fino a lacerarsi nel corso del precedente ventennio.

In sintesi: il Pd ha di nuovo il sindaco ma la sensazione è che non abbia affatto riconquistato la città. È in questa contraddizione, meritevole di ben altre e più approfondite analisi, che il centrodestra può trovare terreno fertile, soprattutto attraverso figure capaci di coniugare istanze di modernizzazione, di cauto riformismo, di ritrovato orgoglio territoriale e tratti di moderatismo.

Cinque anni fa c’era Chiamparino, presidente uscente, che almeno a Torino città era stato in grado di trainare partito e coalizione. Lui era arrivato a superare il 50 per cento, il centrosinistra aveva raggiunto il 46,8. Il Piemonte più profondo aveva voltato le spalle al centrosinistra, ma il capoluogo aveva tenuto, anzi si era schierato per il suo ex sindaco, il più amato d’Italia nell’era dei Cinque Cerchi. Ora che a guidare le truppe c’è Gianna Pentenero l’assalto è possibile. Un piano studiato nei dettagli che attorno a Cirio – non più un marziano in città, com’era visto alle scorse elezioni, ma pienamente legittimato anche da quell’establishment con la puzza al naso – vede schierata una vera potenza di fuoco. Da Paolo Damilano, lo sconfitto alle comunali di tre anni fa che cercherà di portare in dote il consenso della sua Torino Bellissima per la sua corsa in Europa e alla lista del presidente, a Mimmo Portas che ha portato i suoi Moderati, per vent’anni alleati del centrosinistra, a sostenere Cirio (e Letizia Moratti alle europee). In campo per i partiti anche alcuni noti campioni di preferenze: gli assessori Maurizio Marrone (FdI), Andrea Tronzano (FI) e Fabrizio Ricca (Lega), l’ex assessore e parlamentare Claudia Porchietto (sparring partner di Damilano alle europee), l’ex deputato Carlo Giacometto (FI), il ciellino Silvio Magliano che passa dagli scranni dell’opposizione a Palazzo Lascaris a cheerleader del governatore. Per alcuni sono le prove generali per Palazzo civico. Calma e gesso, mancano più di due anni (il mandato di Lo Russo sarà un po’ più lungo causa Covid) e chissà che la concordia istituzionale non riservi qualche sorpresa.

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