REPORTAGE

A Vercelli riso amaro per Salvini. Gelo e tanta rabbia per Vannacci

Il Capitano nel suo tour di promozione del libro in Piemonte raccoglie scarso entusiasmo (si fa per dire) alla candidatura del generale. Resta muto quando il candidato sindaco Scheda esprime il suo disappunto. Per il resto la solita (indigesta) minestra

“Mio padre era generale dell’esercito, ha difeso l’Italia sul fronte jugoslavo, suonava il violino e non ho mai saputo per chi votasse”. Non ci sono battaglie nella sua memoria di ragazzo, ci sono quelle quotidiane e silenziose combattute coi sorrisi cercati e le lacrime nascoste di un nonno, “che ha uno splendido nipote di quattordici anni, autistico”.

Non ci sono altri libri se non Controvento di Matteo Salvini nel Salone Dugentesco di Vercelli, tappa del tour elettorale in Piemonte del leader di una Lega che ormai, volente e (tanto) nolente deve portarsi il fardello di Roberto Vannacci, laica Madonna Pellegrina cui l’ostensore di rosari si affida per il miracolo alle europee. Tra i cartonati di Alessandro Panza, i santini di Silvia Sardone, i faccioni del segretario e le pile dei suoi libri, non c’è traccia di quello del generale di cui Roberto Scheda, un passato nel Psi di Craxi e un futuro probabile da sindaco della città indicato dalla Lega, fa fatica a pronunciare il nome. “Rabbia, rabbia…” ripete col magone l’ottantunenne figlio di generale, nonno di un ragazzo disabile. Cambiamo pagina, si chiama la formazione che Scheda aveva capeggiato alle scorse elezioni e con la quale siede tuttora all’opposizione del centrodestra che s’appresta a guidare. La pagina di Vannacci, quella, non la vorrebbe cambiare, ma strappare quest’avvocato che ricorda non i suoi trascorsi da senatore o i casi processuali pure famosi, ma il suo impegno silenzioso alla legge sul “dopo di noi”, quella che garantirà un futuro a quei figli, quei nipoti, quando genitori e nonni non ci saranno più.

“Vannacci… si guarderà allo specchio” dice Scheda soffocando il magone, mentre aspetta Salvini in ritardo di un’ora e quando il segretario arriva da Fossano dove ha partecipato al convegno dell’Anas prima e alla presentazione dei candidati regionali poi, pesa parole che pesano proprio a lui, a Salvini che gli riconosce “il suo impegno per i più deboli”, che non sopporta altre parole, quelle di colui che ben si guarda dal nominare, ma che risulta chiaro a tutti. 

Sul palco sfilano attivisti locali e volti di vertice. C’è Riccardo Molinari che si va sedere a fianco al candidato sindaco, ci sono i candidati all’europarlamento Silvia Sardone, Angelo CioccaAlessandro Morelli. I centocinquanta posti sono tutti occupati, gli applausi scrosciano quando si parla dell’Europa e del riso che arriva dalla Cambogia, gli sguardi di carabinieri e polizia scrutano a vuoto nella totale assenza di contestazione, Vercelli troppo periferica anche per le proteste, bastano quelle annunciate in serata a Milano per l’ennesima presentazione del libro del Capitano, sempre più stretto nei panni che in molti vedono come quelli dell’attendente del generale.

Immagine che stride sempre i più rispetto al magone sincero del nonno, figlio di un altro generale, che diventa rabbia di fronte alle sortite di Vannacci sulle classi differenziali. Rabbia ma anche un cortocircuito da cui il leader rischia di restare folgorato. Un caso? Forse, sta di fatto che una candidata della Lega al consiglio comunale racconta la sua esperienza con i disabili. S’è capito, qui come altrove, e non ci voleva molto, che l’ennesimo Vanacci-pensiero è l’ennesimo boomerang sulla fronte del partito, soprattutto al Nord, siano le montagne del Cuneese al mattino, siano le piane a risaie nel pomeriggio, con un tramonto del leader che resta appeso al voto del 9 giugno. 

Lui la prende alla larga, parte imboccando la via del nuovo codice della strada “per salvare vite” e togliendo “gli autovelox messi per spennare i cittadini”, per dire “quanto è bello fare il ministro delle Infrastrutture per accelerare sull’Asti-Cuneo e sul Tenda”. Arriva all’Europa “che minaccia le nostre case nel nome del green e che invece deve difendere i confini italiani da barchini e barconi”. Rivela, non stupendo, che “ci ho messo otto anni a scrivere il secondo libro, mentre il mio omonimo Renzi ne sforna uno all’anno”. Trent’anni spiega di aver dovuto attendere da quel giorno in cui “ho fatto la tessera della Lega per avere l’autonomia”, ma è solo una toccata e fuga. Poi eccolo, Vannacci. Lo cita per la prima volta dicendo che adesso per la sinistra non è più solo lui, Salvini, il problema “adesso lo è anche Vannacci”. Ma l’applauso scroscia solo un istante dopo, quando per l’Europa invita a “votare piemontese, magari con un tocco lombardo” (Panza). Chiude confessando l’emozione nell’aver scritto il libro, “dove prima del ministro, c’è il papà”. Non un cenno a quell’altra emozione, quella del nonno di un ragazzo disabile che si candida per la Lega, ma che schiuma rabbia alle parole di Vannacci.

print_icon