SACRO & PROFANO

Laici clericali e preti laicizzati: nella Chiesa nessuno fa più il suo mestiere

Anche in Vaticano molti ruoli nei dicasteri non sono più appannaggio dei sacerdoti. A Torino il "tributo" da pagare all'operaismo di maniera. Repole prepara gli accorpamenti di parrocchie della provincia. L'aborto e il "diritto"

Come è noto, i “boariniani” non hanno mai avuto una grande sensibilità per i temi sociali e forse non gli si può dar loro del tutto torto visto che era quasi “obbligatorio” mostrarsi in prima fila. La diocesi di Torino, che è quella degli ormai scomparsi preti operai, è per definizione schierata rispetto ai temi del lavoro, alcuni preti poi sono assurti a veri professionisti del settore monopolizzando ogni intervento, una unica vox con i sindacalisti. Come a Pinerolo il vescovo è “condannato” all’ecumenismo, così l’arcivescovo di Torino lo è all’operaismo. In tal senso l’episcopato di Cesare Nosiglia, presente ai comizi del 1° maggio e premiato dalla Cgil per il suo diuturno impegno, è stato completamente assorbito da un protagonismo sui temi sociali e occupazionali da rendere ogni suo intervento scontato in partenza. Non c’era azienda in crisi, anche la più remota, che non lo vedesse presente ai suoi cancelli, infagottato e scialbo, a ripetere i soliti slogan (e con gli stessi risultati) facendo indispettire persino gli autori del libello sullo Scisma emerso dove, pur senza fare nomi, ne sintetizzarono l’impietoso ritratto: «… ci sono vescovi che non perdono occasione per andare ai presidi dei lavoratori che protestano contro licenziamenti e cassa integrazione, per farsi immortalare mentre fanno la spesa per il banco alimentare, mentre a livello di governance sono un disastro misto a mediocre ipocrisia generale».

Con monsignor Roberto Repole, la musica è cambiata nel senso che i temi sociali e politici si situano ormai come un tributo da pagare a certi settori del clero diventati marginali, quelli della sinistra immarcescibile in via di estinzione. Non a caso il responsabile della pastorale del lavoro è da tempo un laico al quale è sostanzialmente delegata ogni iniziativa. È noto poi che l’approccio dell’arcivescovo all’universo del lavoro e della Caritas non è troppo gradito ad alcuni estremisti curiali perché si percepisce che certi argomenti non sono nelle sue corde di teologo e di ecclesiologo. Il suo primo interesse è infatti la Chiesa e il suo futuro come, in fondo, è giusto che sia.

Il mandato ricevuto dal papa è stato il seminario, perciò, la pastorale giovanile – dove sembra che il lavoro fatto in precedenza non sia mai esistito e si debba incominciare da capo – è stata nei fatti assorbita da quella vocazionale.

Fervono intanto nelle Unità pastorali le attività per assestare la “seconda botta”, quella che vedrà gli accorpamenti delle parrocchie in provincia dove la situazione si presenta indubbiamente più complessa. Arriveranno anche i nuovi «ministeri istituiti» per i quali è prevista la parola magica del «percorso», il che significa che tutto è già stato deciso

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Quando la gerarchia ecclesiastica nomina un laico in un posto di prestigio che secondo la legge potrebbe ricoprire anche un chierico, corre sempre un rischio. Un po' come sta succedendo in Vaticano dove i ruoli che fino a qualche anno fa erano appannaggio di sacerdoti adesso sono occupati in molti dicasteri – e persino nella basilica vaticana – da una congerie di laici profumatamente pagati e con risultati peraltro più che mediocri. La motivazione è quasi sempre la competenza e su questo non vi è discussione, i preti facciano i preti e i laici facciano i laici, anche se nel post-concilio è successo e sta succedendo esattamente l’inverso: i preti si laicizzano, fanno i tribuni, presiedono commissioni ministeriali come quella per la riforma sociosanitaria (vedi monsignor Vincenzo Paglia) o sull’intelligenza artificiale (vedi il francescano padre Paolo Benati) e sono sempre di più direttamente apud negotiis. Questo mentre i laici si clericalizzano svolazzando sugli altari e occupando posti chiave nelle curie dove danno ordini ai preti e comandano i parroci.

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In questi giorni l’incresciosa vicenda delle dimissioni di Fabrizio Palenzona dal vertice della Crt ha messo in luce la parte avuta nel suo disarcionamento dai «magnifici quattro dell’Ave Maria» (Davide Canavesio, Caterina Bima, Antonello Monti e Anna Maria Di Mascio) i quali hanno poi proceduto, seduta stante, alla successiva immediata spartingaia delle cariche nelle società partecipate. Un ruolo chiave sembrerebbe averlo avuto nella «congiura» – secondo alcune ricostruzioni – il suddetto Antonello Monti in modo che anche l’ignaro fedele è venuto a sapere che questi siede fin dal 2013 nel Consiglio della Crt su indicazione di quell’organo fantasma che è la Conferenza episcopale piemontese (Cep). Sembrerebbe poi che Monti abbia detto al braccio destro di Palenzona di aver ricevuto una «lettera terribile» proveniente da «ambienti ecclesiali» contenente accuse gravi contro la gestione palenzioniana, lettera che però nessuno ha potuto vedere.

Ma chi è Antonello Monti?  Nato nel 1980, vercellese, economista, fa parte del Consiglio di amministrazione dell’Istituto Centrale per il sostentamento del Clero con sede in Roma, organo della Cei che ha il compito di coordinare e controllare l’azione dei 218 Istituti diocesani con il fine di garantire la remunerazione, l’assistenza e la previdenza a tutti i preti italiani. Qualche giorno dopo la defenestrazione di Palenzona, forse perché si comincia a sentire puzzo di bruciato, è arrivata una nota della curia di Torino, dai toni piuttosto inusuali e concisi, ove si dice che la diocesi non risulta coinvolta in nessun tipo di accordo, né di avere competenza nel governo della Crt». La Cep – che pure ha designato Monti nell’ente – non ha finora emesso alcun comunicato. Avrà almeno il suo presidente – il mellifluo monsignor Franco Lovignana – chiesto lumi all’economista cattolico cosa sia successo, chi siano quegli «ambienti ecclesiali» che hanno elevato gravi accuse contro Palenzona e di che genere di doglianze si tratti? Chissà che, in un impeto di sinodalità, anche il comune fedele ne possa venirne a conoscenza.

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Finora chi in campo cattolico ha parlato conciso e chiaro sulla risoluzione del Parlamento europeo di aggiungere alla Carta dei Diritti fondamentali della Ue il diritto di aborto, è stata suor Carla Corbella, docente di Etica e Bioetica che, in un articolo del 21 aprile sul settimanale diocesano di Torino ha commentato i risultati del voto sulla risoluzione che è stata approvata con 336 voti favorevoli (fra di essi gli italiani Cinque Stelle, Pd, Forza Italia, Verdi e Azione), 163 contrari (Fratelli d’Italia e altri di Forza Italia) e 39 astensioni (Lega Nord). La legge 194 ha depenalizzato l’aborto ma, dice la religiosa, «una cosa è non punire la donna, un’altra cosa è affermare che l’uccisione di una persona vivente nel grembo di una donna sia un “diritto”, cioè un valore. In qualunque momento e in qualunque stato della vita si trovi un essere umano (che lo si definisca embrione, morula, feto), egli è sempre una persona e come tale va trattata. Se la si elimina si compie un omicidio. Punto. Se è persona umana soltanto chi può ragionare, soltanto chi può pensare ed essere autonomo, che destino avranno i malati di Alzheimer e gli anziani affetti da demenza senile, che sono in aumento e costituiscono solo un “costo” per la società? Già un famoso bioeticista laico, Hugo Tristam Engelhardt, morto nel 2018, affermò che queste persone non sono più “persone” e dunque la loro soppressione non sarebbe omicidio. Il solo problema: farlo accettare socialmente. Con l’aborto sta accadendo».

La buona suora avrebbe però dovuto ricordare che anche una delle icone del cattocomunismo, monsignor Luigi Bettazzi (2023-2022), interpretando in modo strampalato la Sacra Scrittura, sosteneva, in aperto contrasto con l’insegnamento della Chiesa e con l’aiuto del celebrato teologo moralista don Giannino Piana (1923-2023), che l’aborto fino a circa il quinto mese di gestazione, non dovesse essere considerato un omicidio in quanto il neo concepito non sarebbe una realtà «biologicamente ed ontologicamente definita», non un essere umano, ma solo un essere «in atto». Che è poi quello che pensa gran parte – ma non papa Francesco – della Chiesa dei progressisti.

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