SANITÀ

Visite a pagamento, caos rimborsi

Un sistema cervellotico per ripartire tra aziende le parcelle dei liberi professionisti. Tenuta nel cassetto la norma che consente di non pagare le prestazioni private in caso di ritardo nelle prenotazioni. Ora ci sarà chi proverà a nasconderla di nuovo

Chi deve pagare la visita privata che il paziente ha diritto ad avere gratis non trovando risposta alla sua richiesta di prenotazione al Cup, nel caso in cui la ottenga da un medico dipendente da un’azienda sanitaria diversa da quella di residenza? Sembra un rompicapo e in effetti lo è, ma soprattutto è l’ennesimo garbuglio figlio del caos sulle liste d’attesa che finisce per complicare, in tutto il Paese, una situazione già di per sé a dir poco confusa.

Tutto parte da una legge che consente di non pagare la visita effettuata dai medici in libera professione qualora la prenotazione con il servizio sanitario vada oltre i tempi indicati nell’impegnativa del medico di famiglia o, addirittura, non sia proprio disponibile. I tempi d’attesa restano ancora troppo lunghi in tutto il Paese da Nord a Sud, sia pure con qualche differenza e al netto delle troppo rassicuranti statistiche che cozzano contro i disagi quotidiani in cui si imbatte chi ha bisogno di una visita specialistica o di un esame diagnostico. Una situazione spesso intollerabile che porta sempre più pazienti a mettere mano al portafogli o, chi non può, a rinunciare alle cure. Una situazione che la legge di trent’anni fa, pur nella sua farraginosità, aveva previsto tanto da stabilire, nel caso in cui la prenotazione vada oltre i tempi dell’impegnativa, la possibilità di rivolgersi al privato, ma a spese dell’Asl.

Avendola dovuta tirare fuori dal cassetto dove l’avevano ben nascosta, spesso negandone l’esistenza ai cittadini, molte aziende sanitarie ora si trovano di fronte al rischio concreto di veder aumentare di parecchio il rosso dei loro bilanci. Ma non è questo l’unico problema che rischia, ancora una volta, di ribaltarsi sui pazienti.

Il Piemonte, come non molte altre Regioni, ha impartito precise disposizioni alle Asl per l’applicazione della norma, sgombrando il campo da alibi e risposte evasive. Lo ha fatto, nelle scorse settimane, con una lettera inviata dalla direzione regionale della Sanità a tutti i vertici delle aziende sanitarie e questo lascia supporre che non ci vorrà molto per vedere crescere le finora sparute richieste di ottenere quello che è un diritto di ciascun cittadino che non ottenga dal servizio sanitario ciò di cui ha bisogno nei tempi previsti. 

E fin qui è tutto abbastanza chiaro, si fa per dire. Ma, come spesso accade quando ci si addentra non norme e cavilli e in più di mezzo ci sono i soldi, le complicazioni non mancano. Si scopre così che se il signor Bianchi si rivolge o viene indirizzato allo specialista che opera in un’azienda ospedaliera o universitaria, come può essere il caso della Città della Salute o il Mauriziano, sorge il problema circa a chi spetta pagare il medico dal quale il paziente ottiene gratuitamente la visita. Lo stesso nel caso in cui il signor Rossi che risiede nel territorio coperto dall’Asl di Asti, ottenga la prestazione da un medico che opera in intramenia, ovvero a pagamento, ed è dipendente dell’Asl di Alessandria.

Questo vale in Piemonte come in qualunque altra regione, visto che la soluzione la si trova proprio nella legge dello Stato. E lì si scopre l’immancabile complicazione. Già, perché la norma prevede che la prestazione, ovvero la parcella del medico “sia posta a carico, in misura uguale, all’azienda sanitaria di appartenenza e a quella nel cui ambito la prestazione viene fornita”. Ora c’è solo da immaginarsi tutti i passaggi burocratici tra un’Asl e l’altra o tra un’azienda sanitaria e una ospedaliera per dividere ciascuna parcella da pagare al medico. E non ci sarebbe da stupirsi se chi ha tenuto nascosta nel cassetto per anni la legge, trovasse il modo per rimettercela in fretta.

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