ECONOMIA & FINANZA

Caso Signorini, Iren ostaggio della politica. Lo Russo: "L'azienda è sotto controllo"

I mercati non si fidano più della multiutility del Nord Ovest. Gli utili ristagnano, a crescere sono solo i debiti. Il ruolo (deleterio) del sindaco di Genova Bucci e la logica degli "orticelli" che l'ha arenata. Ora A2a ed Hera corrono

Un’azienda vittima dei suoi stessi azionisti, quotata in Borsa ma allo stesso tempo avviluppata nei tentacoli  della politica. L’arresto dell’amministratore delegato Paolo Signorini è l’ennesima tegola sulla testa di Iren, che da anni non trova pace e fatica a stare a galla nel gran risiko delle multiutility dove se non sei predatore prima o poi diventi preda. “Verificheremo nelle prossime ore come procedere, però l’azienda è assolutamente sotto controllo e si è messa immediatamente nelle condizioni di poter andare avanti”, assicura il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, uno dei soci forti della multiutility. Dopo l’arresto dell’amministratore delegato, Iren ha sofferto parecchio in Borsa, ma per il sindaco si tratta di un arretramento “fisiologico”. Anzi, “è stato contenuto nel pomeriggio, credo anche in virtù di questa azione molto repentina”, di redistribuzione delle deleghe di Signorini, finite quasi tutte in mano al presidente Luca Dal Fabbro. Tutto bene, insomma? Mica tanto, a partire dall’enorme danno d’immagine che sta subendo l’azienda.

Al netto delle vicende delle ultime ore, la situazione è critica e non da oggi. La rocambolesca acquisizione di Egea non ha convinto del tutto i mercati che restano prudenti, se non scettici. Nell’ultimo anno il titolo di A2a – la sorella maggiore lombarda – è cresciuto del 16%, quello della bolognese Hera del 21%, la romana Acea ha guadagnato il 22%. Iren, invece, ha perso quasi il 7%. Nel bilancio 2019 Iren aveva registrato utili per 237 milioni di euro, nel 2023 sono saliti a 255 milioni con un incremento del 7%; A2a invece è passata da 389 a 659 milioni (+69%). C’è chi corre e chi arranca. Negli ultimi quattro anni Iren ha perso circa 1,5 miliardi di capitalizzazione in Borsa, il suo titolo che nel febbraio 2020 aveva raggiunto il valore massimo di 3,06 euro, adesso è sotto quota 1,80. Ciò che continua a crescere, invece, è il dividendo (necessario a compiacere gli investitori istituzionali) e l’indebitamento finanziario che ormai sfiora i 4 miliardi di euro.

L’instabilità della governance si riflette anche sulle scelte strategiche. Nel 2021 Iren ha perso l’amministratore delegato Massimiliano Bianco, sostituito da Gianni Armani, due anni più tardi anche quest’ultimo ha fatto le valigie e così è iniziata l’era Signorini, che ieri è stato arrestato. Ora la società torna a veleggiare in acque sconosciute: il cda convocato ieri d’urgenza, ha affidato le principali deleghe in capo all’ad nelle mani del presidente Luca Dal Fabbro cui spetterà un’altra reggenza, un’altra fase di transizione. Difficile in questo contesto fare una programmazione sul lungo periodo, individuare scelte strategiche o un efficace piano pluriennale. Con Bianco Iren aveva abbracciato il concetto di multicircle economy, pianificato forti investimenti nelle aree geografiche di riferimento e messo in piedi una strategia di acquisizioni in Toscana. Da quel momento, chi l’ha succeduto non ha fatto altro che completare quel programma. Anche l’acquisizione di Egea non è stata frutto di progettazione, ma piuttosto l’epilogo di una partita giocata con scaltrezza da Dal Fabbro nell’interregno tra Armani e Signorini (se sarà un affare o un bagno di sangue si capirà in futuro).    

Negli ultimi anni la politica ha assunto un ruolo sempre più invasivo in una società impegnata a destreggiarsi tra i marosi di un mercato altamente competitivo. L’addio di Bianco, nel maggio 2021, è riconducibile ai rapporti diventati tesi con il sindaco di Genova Marco Bucci, che ha rafforzato la sua presenza nella compagine societaria diventando il primo azionista all’interno del patto di sindacato. Convincerlo alle dimissioni rappresenta per molti il peccato originale commesso dal primo cittadino della Lanterna: tutto ciò che è avvenuto dopo è una conseguenza. La parentesi di Armani, le sempre più forti pressioni sulle scelte strategiche dell’azienda. “C’è stata una regressione significativa in termini di autonomia del management” ammette un analista. “Si sta tornando alla politica degli orticelli, il basso cabotaggio – prosegue –. Ci vuole lungimiranza per capire che un’azienda come Iren non va spremuta in ossequio a mere logiche di consenso, ma aiutata a crescere”.

Nel luglio dell’anno scorso Bucci sferrò un attacco frontale nei confronti del Gruppo: “La Città metropolitana di Genova ha verificato un rallentamento degli investimenti di Iren sul suo territorio, abbiamo deciso di mandare una lettera dura a Iren perché non riusciamo a capire le ragioni, Iren è un’azienda ricca che deve investire su Genova” si legge in una nota del primo cittadino. È il preludio all’arrivo del nuovo ad. Un mese dopo, infatti, ecco la nomina di Signorini, uno dei manager meno qualificati per guidare una multiutility, se non altro perché fino a quel momento non si era mai occupato di mercati quali l’energia o l’ambiente. La sua nomina, tuttavia, non trova veri e propri ostacoli: l’assenza di skills consente al presidente – indicato dal sindaco di Torino – di ampliare il suo portafoglio di deleghe, Bucci sapeva che da quel momento avrebbe potuto ottenere ancor più investimenti (oltre al lauto dividendo). Tutti contenti? Se così si può dire.

A osservare quei fatti col senno del poi si potrebbe parlare di un disastro annunciato. Il danno d'immagine è altissimo e lo dimostra il fuggi fuggi degli investitori negli ultimi due giorni. Ora il titolo è sotto pressione e i mercati s’attendono un guizzo. A partire dalla nomina del nuovo ad. Non uno che garantisca investimenti a questa o a quella città, ma un manager di alto profilo in grado di rilanciare l’azienda.

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