Una legge contro radicalismo e terrorismo

La relazione sulla politica dell’informazione per la Sicurezza presentata dai nostri Servizi Segreti al Parlamento, e pubblicata il 27 febbraio sul sito istituzionale dell’intelligence italiana, lancia un allarme molto chiaro: il terrorismo è una minaccia concreta e noi non ne siamo immuni. Così come è chiaro che vi sia una correlazione, seppur minima sul piano statistico, tra immigrazione e terrorismo; e minima non vuol dire nulla. Dunque dobbiamo aspettarci qualcosa. Non che il documento presentato al Parlamento contenga informazioni sorprendenti a dire il vero, almeno per gli addetti al mestiere, ma questo non serve a rassicurare gli animi; pur nella certezza che i nostri servizi stiano lavorando bene. Anzi, molto bene. Ma non basta.

I Servizi, l’intelligence, lavorano all’interno di un quadro normativo che opera sul piano del contrasto (o della prevenzione immediata), ma non su quello della prevenzione strategica, di lungo respiro. È proprio lì che la politica italiana, il governo, pare essere più riluttante a prendere decisioni importanti per la sicurezza dei cittadini. Ma archiviata la narrativa del “dovere dell’accoglienza”, e di tutti i suoi strascichi negativi e dagli insostenibili costi economici e sociali, ora è il tempo dell’“azione responsabile” che necessita di una premessa politica: la presa di coscienza di una minaccia e il dovere di adeguare le leggi per la sicurezza dei cittadini. E dopo l’impegno nel contrasto al terrorismo sul piano politico da parte dell’On.le Stefano Dambruoso, Questore della Camera dei Deputati, magistrato esperto di anti-terrorismo, e dell’On.le Andrea Manciulli, presidente della Rappresentanza italiana alla Nato – cofirmatari del progetto di legge sulle “Misure di contro radicalizzazione jihadista” – anche il Vice-Presidente del Senato, il Sen. Roberto Calderoli, ha dato un importante e atteso segnale. Fu proprio il Sen. Calderoli, rispondendo al nostro appello del luglio 2016 successivo all’attacco terrorista di Nizza, che riconobbe la necessità di agire sul piano legislativo proponendo un disegno di legge che garantisse agli organi di prevenzione e contrasto di poter operare efficacemente, andando a colpire le radici del terrorismo islamico, che affondano nel terreno fertile del radicalismo e della sharia – la legge coranica.

Avevamo denunciato la necessità di provvedimenti urgenti, razionali, applicabili e di buon senso. Bene, il disegno di legge del vice Presidente del Senato Roberto Calderoli sul reato di apologia di sharia e di contrasto al radicalismo islamico, appena depositato in Senato, è un’iniziativa di buon senso ed equilibrata. Talmente equilibrata, in molte parti – forse non in tutte – che un eventuale bocciatura sarebbe ragione di imbarazzo per il governo che non troverebbe giustificazioni coerenti né credibili nei confronti dell’opinione pubblica. Una bocciatura che condannerebbe i cittadini italiani a rimanere in una condizione di insicurezza diffusa; quell’insicurezza alimentata da un senso di abbandono da parte dello Stato. Se, al contrario, questo DDL fosse approvato – e ci auguriamo che almeno in parte lo sia – verrebbero chiuse le moschee che danno ospitalità ai terroristi, cesserebbero i finanziamenti “dubbi” da parte di gruppi terroristi stranieri, avremmo imam diplomati e laureati nelle università italiane e obbligati a superare esami anche su cultura e tradizioni italiane, il radicalismo sarebbe contrastato e sarebbero sanzionati i comportamenti intolleranti, andando a punire quei casi in cui le donne vengono costrette ad indossare indumenti che ledono la dignità della persona sulla base di precetti religiosi o ideologici e, ancora, rendendo illegali tutte quelle associazioni che fanno del fondamentalismo la propria bandiera, a partire dai “Fratelli Musulmani”, anticamera dell’ISIS anche in Italia. Un buon punto di partenza su cui è opportuno far convergere gli sforzi comuni attraverso la realizzazione di un tavolo di lavoro per la sicurezza dei cittadini che sia condiviso e aperto a tutte le forze politiche, gli organi istituzionali e la Società civile. Iniziando dal primo passo: il dialogo e la discussione (auto)critica.

I prossimi passi? Un piano strategico per la gestione dei flussi migratori attraverso un approccio di “emergenza strutturale”, il controllo delle frontiere marittime, il respingimento, l’espulsione, esecuzione del rimpatrio veloce della massa di migranti che non hanno titolo né possibilità per rimanere in Italia (e in Europa). Lavoriamoci ora.

*Claudio Bertolotti, Energie PER l’Italia – SiAmo Torino

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