FINANZA & POTERI

Cuneo alla guerra per banche

La Fondazione Crc boccia l'Ops di Intesa su Ubi. Genta guida il fronte contrario alla fusione in nome di interessi territoriali e di bottega politica. Luci e ombre di un'operazione destinata a cambiare gli assetti di potere (e le carriere di alcuni notabili locali)

La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, con la decisione assunta all’unanimità dal suo consiglio generale, ha messo il sigillo sul rifiuto all’offerta pubblica di acquisto lanciata da Intesa-Sanpaolo per Ubi Banca. E, così, ha scritto un’ulteriore pagina del bollettino della guerra per banche.

Le ragioni che hanno portato all’atto formale, dopo dichiarazioni inequivocabili arrivate subito in risposta alla proposta del ceo Carlo Messina, secondo la fondazione cuneese stanno nell’aver “sempre contribuito, nel suo ruolo di azionista, a porre le condizioni perché Ubi Banca raggiungesse l'attuale solidità e le ottime prospettive di sviluppo, come pienamente riconosciuto dagli analisti nelle ultime settimane, a seguito della presentazione del piano industriale”. Da Cuneo si rimarca inoltre “la grande attenzione alle ricadute locali delle proprie scelte”.

Fin qui l’ufficialità. Tuttavia, non manca una lettura in controluce del mai risolto legame tra le fondazioni e le banche, guardando alle reazioni immediatamente successive alla comunicazione dell’ops e all’evoluzione di una vicenda che avrà il suo snodo cruciale tra una settimana. Entro il 7 marzo dovrà, infatti, essere presentato il documento dell’offerta alla Consob. E in vista di questo appuntamento Intesa Sanpaolo e Ubi banca schierano le squadre degli advisor che assisteranno i due istituti nell'offerta pubblica di scambio volontaria lanciata da Ca' de Sass. Il gruppo bancario guidato da Messina avrà al suo fianco Mediobanca che agirà come Sole M&A e Lead Financial Advisor dell'operazione e coordinerà, con gli altri consulenti finanziari J.P. Morgan, Morgan Stanley & Co. International, Ubs Investment Bank ed Equita Sim, le relative attività e relazioni con i mercati finanziari. Per Ubi banca, invece, Goldman Sachs affiancherà il Credit Suisse come advisor nella valutazione dell'offerta e delle possibili alternative rispetto alla proposta. La formazione dei consulenti che dovra' assistere il consiglio d'amministrazione di Ubi potrebbe non essere completa e allargarsi presto a una terza banca.

Altra tappa del percorso sarà l'assemblea straordinaria dei soci, convocata per il 27 aprile per l'aumento di capitale finalizzato all'offerta. L'operazione, almeno per il momento, non sembra senza ostacoli, soprattutto per via della bocciatura da parte del Car, il patto di consultazione che vincola il 17,7% del capitale di Ubi banca e di cui fa parte da Fondazione Cr Cuneo, e del Patto dei Mille che pesa l1,6%.

Si diceva delle ulteriori ragioni che non possono che intravvedersi, oltre a quelle esplicitate dalla fondazione cuneese, alla base del no opposto all’offerta di Messina. Tra queste è difficile non vedere quella che ricondurrebbe un’eventuale accettazione del controcambio a una perdita di potere e di poltrone strategiche per quella fondazioni, come la cuneese, che oggi pesano in Ubi e che domani in Intesa Sanpaolo vedrebbero assai diluita la loro attuale potenza, sia pure in cambio di un considerevole introito finanziario.

Senza obiettare sulle motivazioni con cui si sostiene il no a Messina, appare evidente come il già citato mai risolto (tradendo lo spirito della riforma Amato) rapporto tra le fondazioni e le banche con l’annunciata e ancora attesa diminuzione del loro peso negli istituti di credito, si riproponga in tutta la sua vera dimensione: quella della possibilità di esprimere membri dei board e, non di meno, poter contare su un legame privilegiato con la banca. Con tutto quello che ne consegue in termini di reti finanziarie e di potere in chiave locale: dall’erogazione di mutui e finanziamenti agli intrecci con incarichi e consulenze.

C’è, dunque, da mettere nel novero (e non certo marginalmente) anche questo motivo tra quelli che hanno portato la fondazione guidata da Giandomenico Genta a respingere il piano di Messina e a cercare di resistere. “Ubi è una banca sana, stabile, redditizia, ben gestita per competenze e risorse umane, competitiva e riconosciuta sul mercato di riferimento, realtà centrale per il sistema socio-economico del Paese”, la tesi sostenuta, sia pure di fronte a dati di bilancio che indicano come al 31 dicembre scorso Ubi, a fronte di crediti deteriorati verso clientela pari a 6,8 miliardi lordi su 87,7 miliardi totali, ha un tasso di copertura esclusi i write off del 39%, un dato è sensibilmente inferiore alla media nazionale, per raggiungere la quale servirebbero ulteriori accantonamenti attorno al 600, 800 milioni.

Ciò nonostante la linea tracciata appare difesa strenuamente, anche invocando il sempreverde richiamo alla “banca del territorio”. Richiamo di effetto che spesso ne cela un altro: quello dei posti di comando negli istituti di credito con i quali le fondazioni continuano ad avere un’osmosi, non di rado eccessiva. Ma gli ostacoli posti all’offerta di Intesa-Sanpaolo, nel caso risultassero determinanti, potrebbero risultare un nuovo schiaffo a Messina, dopo quello ricevuto dopo il tentativo di scalata delle Generali cui il ceo di Ca de Sass, tre anni fa, aveva dovuto rinunciare.

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