SANITÀ MALATA

Due milioni di italiani senza medico.
Il Piemonte perderà altri 200 dottori

Continua a calare il numero dei medici di famiglia. Tra due anni saranno 5 milioni i cittadini senza il professionista di riferimento. La situazione piemontese peggiore della media. L'allarme dei piccoli comuni dove nessuno vuole aprire l'ambulatorio

Due milioni di italiani non hanno il medico di famiglia e quel numero, se non ci saranno interventi ad oggi difficili da intravvedere, nel giro di un paio d’anni è destinato più che a raddoppiare. A dispetto dell’annunciato potenziamento della medicina territoriale dopo la tragica esperienza del Covid che ha messo in luce carenze sedimentate e aumentate nei decenni, i camici bianchi che sul territorio lavorano continuano a diminuire in maniera più che allarmante.

Il Piemonte, una delle regioni messe peggio, in dieci anni è passato dall’avere oltre 3.400 medici di medicina generale a doverne contare oggi non più di 2.800, ma soprattutto mettere in conto di dover rinunciare entro il 2025 ad ulteriori 200 professionisti raddoppiando il deficit che già oggi è calcolato in 229 dottori. In base a numerose stime, tra cui quella dell’Istituto Gimbe, il quadro piemontese vede il 42,3% dei medici superare il massimale di 1.500 assistiti, con un dato sia pure lievemente peggiore rispetto alla media nazionale che è del 42,1%), insieme a quello del numero medio di assistititi che è di 1.352 contro i 1.307 del resto d'Italia. 

Una prospettiva di enorme difficoltà e disagi per i cittadini, con situazione oltre il limite in non pochi comuni montani per i quali tutti i tentativi di trovare un medico disponibile ad assistere gli abitanti continuano a fallire, che vede incrociarsi più di una causa e tentativi di rimedio. Gli italiani sono costretti sempre più spesso a ricorrere ad espedienti quando si ritrovano senza dottore per il pensionamento del proprio specialista arrivando addirittura a cambiare comune di residenza perché in quello in cui si abita il medico non c'è più. Avere e conservare un medico di famiglia è una sfida sempre più difficile a fronte di crescenti abbandoni di quella professione e scarsissimi rincalzi. Cresce il numero i professionisti che lascia l’ambulatorio per passare al settore privato e, in non pochi casi, a quelle cooperative che forniscono il personale vendendo a carissimo prezzo il loro servizio alle Asl, con altrettanto allettanti guadagni per i medici ingaggiati.

Incombenze burocratiche sempre più pressanti, ritmi di lavoro ritenuti al limite della sostenibilità e un rapporto sempre più complicato con gli assistiti soprattutto a causa delle liste d’attesa, sono le ragioni che provocano ogni anno un forte numero di abbandoni e, di contro, allettano sempre meno i giovani laureati a imboccare questa strada professionale. Gli stessi motivi per cui, come annunciato l’altro giorno, i sindacati in particolare lo Smi sta ragionando concretamente su uno sciopero in Piemonte, dopo la fortissima adesione registrata da quello dei giorni scorsi in Sardegna.

E se l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali calcola che dal 2019 al 2021 il numero totale dei medici di medicina generale si è ridotto di 2.178 unità, passando dai 42.428 professionisti del 2019 a poco più di 40mila, per cercare di arginare esodi e incentivare ingressi il Governo già dal prossimo anno mettendo i 2,4 miliardi di euro in manovra cerca di arrivare con una risposta non esaustiva, ma tangibile, al tavolo per il rinnovo il contratto collettivo dei camici bianchi. 

“La sanità territoriale è una ferita aperta per il nostro territorio”, ha ammesso l’assessore regionale Luigi Icardi ancora pochi giorni fa intervenendo a un convegno dell’Uncem (l’associazione dei comuni montani) piemontese. “Facciamo una grande fatica nelle aree meno servite e questo determina fenomeno gravissimo di spopolamento con costi sociali enormi. Dare servizi in queste aree – ha tuttavia aggiunto Icardi – è un imperativo morale”. Resta il problema del come assicurarli questi servizi, nei piccoli comuni così come nel resto della regione dove a accentuare il problema c’è anche l’età media molto alta dei medici di famiglia che lascia prefigurare, nel giro di pochi anni, una situazione ancora più complessa. E resta difficile che una soluzione possa trovarsi nel prospettato passaggio per i medici di famiglia da convenzionati a dipendenti del servizio sanitario, come prospettato dal ministro Orazio Schillaci. I pochi tentativi timidamente abbozzati negli anni, sono stati sempre respinti con decisioni da gran parte dei sindacati. Anche il per ora solo annunciato piano in base al quale i laureati che usciranno dal percorso formativo entreranno come dipendenti del servizio sanitario e impiegati nelle case di comunità (gran parte delle quali ancora a realizzare con il Pnrr) rischia di fare la fine dei precedenti progetti, senza riuscire a cambiare uno status, come quello dei medici di famiglia, per molti versi anomalo e ormai inadeguato, ma difeso strenuamente da gran parte della categoria.

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