Popolari fuori luogo nel Pd di Berlinguer

Ha fatto discutere la scelta, coerente e del tutto legittima, di Elly Schlein di dedicare la tessera Pd del 2024 ad Enrico Berlinguer. E questo non solo perché il 2024 è il 40° anniversario della scomparsa del più grande leader comunista del nostro Paese e uno dei maggiori leader del comunismo europeo. Ma anche per la semplice ragione che quando oggi si parla di Berlinguer e del suo ricco, profondo e anche controverso magistero politico, culturale ed istituzionale, il pensiero corre subito a quella famosa intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari nel 1981 sulla cosiddetta “questione morale” dell’epoca. Una intervista che, sostanzialmente, era stata congegnata ed indirizzata contro “il sistema di potere della Democrazia Cristiana”.

Ora, al di là delle tesi di Berlinguer e della scelta del vertice dell’attuale Pd – ripeto, del tutto legittima e quasi scontata da parte della segretaria Elly Schlein – è indubbio che emerge in modo quasi oggettivo un dato politico inequivocabile. Almeno per chi lo vuol cogliere senza nascondersi dietro l’ipocrisia. E cioè, il Pd – seppur dopo alterne vicende e tumultuosi cambiamenti – è oggi degnamente l’erede storico, politico e culturale della lunga filiera del Pci/Pds/Ds. Una filiera che ha rappresentato nel nostro paese una indubbia importanza e che, va pur detto, è sempre stata alternativa sul versante valoriale, culturale e politico rispetto al blocco democristiano, riformista, democratico e di governo. Certo, la prima fase del Pd, quella per intenderci di Veltroni, ha rappresentato una netta discontinuità rispetto al passato creando le premesse per una feconda e positiva collaborazione politica e culturale tra gli eredi del Pci e quelli della sinistra democristiana. Un equilibrio che, però, si è progressivamente impoverito sino a scomparire del tutto al punto che oggi il Pd, come sottolineano giustamente tutti gli osservatori e commentatori delle vicende politiche, viene semplicemente dipinto ed interpretato come la naturale prosecuzione della storia della sinistra italiana. Seppur nelle sue molteplici e svariate espressioni.

È di tutta evidenza, al riguardo, che una cultura, una storia ed un pensiero politico come quello del cattolicesimo popolare e sociale sono del tutto fuori luogo all’interno di quella esperienza politica e partitica. Certo, non mancano esperienze politiche che confermano che anche all’interno dei partiti di sinistra ci sono esponenti dell’area cattolica. Basti pensare alla importante esperienza dei “cattolici indipendenti di sinistra” nel Pci degli anni ‘70 e ‘80. Ma, appunto, si è sempre trattato di una infima minoranza che non ha inciso granché sull’orientamento e sulla storia dei cattolici impegnati in politica nel nostro Paese.

Ecco perché, “allo stato dei fatti”, per dirla con una felice espressione di Carlo Donat-Cattin ai tempi dello storico “preambolo” del Congresso nazionale della Dc del 1980, il ruolo dei Popolari o dei cattolici sociali all’interno dell’attuale Pd è del tutto fuori luogo. O meglio, destinato a non avere alcun ruolo in un partito che, e del tutto legittimamente, è diventato espressione di una sinistra radicale, massimalista e libertaria. Operazione in sé del tutto comprensibile ma che, comunque sia, va rispettata sino in fondo. Semmai, tocca ai Popolari e ai cattolici sociali ri-declinare il loro ruolo politico, culturale, sociale ed organizzativo. Non come ospiti, a volte anche sgraditi, in alcuni partiti che hanno un’altra ragione politica ma, al contrario, come protagonisti in un partito o in un cartello elettorale dove possono giocare un ruolo politico decisivo e qualificante.

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