Autostrade, oltre la teoria

L’interessante riflessione di Michele Fontefrancesco ci pone davanti al classico dilemma “quale Stato quale mercato”, tanto caro agli economisti che da anni si interrogano sui modelli di sviluppo economico e sul tipo di politiche da intraprendere. Il modello economico della concorrenza perfetta, individuato come il meccanismo ottimale per l’allocazione efficiente delle risorse in quanto il prezzo di vendita che si forma sul mercato remunera tutti i fattori di produzione in base alla loro produttività marginale e non permette la creazione di extra profitti e sfruttamento del lavoro, nel mondo reale, si verifica assai di rado per cui gli stati moderni si sono posti il dilemma di come correggere le distorsioni e i fallimenti del mercato.

Se il primo  dopoguerra e gli anni ’60 hanno visto il diffondersi dello Stato imprenditore ossia la partecipazione attiva dello Stato in molti settori dell’economia (si pensi all’Iri, alle partecipazioni statali) negli anni ’70 e ’80 inizia a svilupparsi un approccio verbale verso la deregulation, negli anni ’90 fino allo scoppio della crisi finanziaria assistiamo al trionfo del neoliberismo, in cui non solo i governi nazionali rinunciano a indirizzare le politiche economiche, ma mostrano anche un forte deficit di regolamentazione.

Nel contempo si diffonde anche la necessità di liberalizzare settori che troppo a lungo si sono configurati come monopoli pubblici o privati (oggetto di concessione pubblica), partendo dal presupposto che la finalità ultima della liberalizzazione è quella di fornire servizi a un minor prezzo e a una maggior qualità per l’utente finale, ossia il cittadino. Ma spesso è accaduto che il nostro Paese, in ritardo in tali processi, ha poi recepito le direttive europee, andando oltre le stesse richieste (per poi, spesso, disattenderle nel concreto), mentre il mainstream ha abbracciato un modello teorico senza un’attenta considerazione delle condizioni effettive del mercato o del design istituzionale, considerando la concorrenza come un fine e non come un mezzo per conseguire quei risultati auspicati di maggior benessere per i cittadini e le imprese.

 Il caso delle manutenzioni delle concessioni autostradali è emblematico, per cui lo Stato ha svolto un ruolo di regolatore, mantenendo elementi di concorrenza, ma con un’attenzione anche alla qualità e al mantenimento dei posti di lavori e alla sicurezza: infatti quando si disintegra un monopolio verticalmente integrato si corre il rischio di generare una doppia rendita per il monopolista a monte e per quello a valle, a discapito dei lavoratori e dei consumatori.

Un corretto funzionamento dei mercati deve contemperare qualità del lavoro diritti e qualità del servizio. Il compito degli Stati, in un mondo globalizzato è quello di tentare di regolare e armonizzare le regole del gioco, a tutela di cittadini e di imprese.

I recenti casi di Amazon e di Ryanair ci insegnano come siano più che mai necessarie regole comuni a tutela del lavoro. E una consapevolezza di un ruolo più attento di regolazione e di difesa degli interessi strategici nazionali si sta diffondendo in tutta Europa: recentemente sono stata relatrice alla Camera di un parere sulla proposta di regolamento ascendente nel caso di investimenti esteri nei settori strategici nazionali.

Non si deve certo alzare barriere o tornare a politiche di protezione e occorre fare tutto quanto in nostro facoltà per incentivare una concorrenza sana che però eviti fenomeni dà di dumping sociale, nella consapevolezza, come sosteneva Gobetti che “Lo Stato non professa un’etica ma esercita un’azione politica”.

*Cristina Bargero, deputato Pd

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