Il carcere non guarisce né rieduca

Il carcere non è solo una pena, esso costituisce di fatto una forma di trattamento per i soggetti affetti da varie patologie. Si discute sempre dell’art. 27 della Costituzione, ma qui è in gioco anche il diritto alla salute, non solo nel suo significato più elementare e conosciuto, riassumibile nel concetto per cui sarebbe necessario tutelare maggiormente la salute delle persone ristrette, in quanto fondamentale diritto dell’individuo. È in gioco il diritto alla salute anche sotto una ulteriore prospettiva. Deve, infatti, premettersi che l’art. 32 della nostra Costituzione, stabilisce che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Ciò premesso, va detto che il trattamento delle tossicodipendenze, dell’alcoldipendenza, dei soggetti affetti da più o meno gravi disturbi psichiatrici, sta divenendo sempre più il carcere. Non è improprio associare il carcere al trattamento, termine che si riferisce al mondo sanitario, in quanto il carcere oltre che luogo di pena è anche luogo in cui ad esempio si fa uso di metadone e vi è uno smisurato utilizzo di psicofarmaci. Le stesse persone che soffrono di queste dipendenze o che comunque sono affette da queste patologie, perdono la loro libertà di scelta, e, quindi, contro la loro volontà, e senza nemmeno il consenso dei soggetti che si occupano degli individui con ridotte o assenti capacità, si trovano di fatto ad essere obbligati a sottoporsi a tale trattamento del carcere, trattamento che non cura e che spesso non risulta essere minimamente compatibile con il rispetto della persona umana. Inoltre, come è evidente, nessuna disposizione di legge, prevede il carcere quale trattamento delle dipendenze e delle patologie in questione.

Certamente, può dirsi che la privazione di libertà personale non avvenga direttamente in conseguenza della malattia, ma in quanto ci si è precedentemente resi responsabili di fatti di reato. Tuttavia, anche volendo muovere questa obiezione, si riuscirebbe a salvaguardare al massimo la forma ma non la sostanza, poiché come è noto a tutti, si tratta nella maggior parte dei casi di fatti di reato commessi proprio a causa delle proprie dipendenze e delle proprie patologie. Secondo un pensiero assai diffuso si sosteneva e si sostiene che i tassi di recidiva siano così alti perché il carcere così come è attualmente concepito non è in grado di rieducare. Tale concetto deve essere però necessariamente integrato. I tassi di recidiva sono così alti perché il carcere non è in grado di rieducare e non è in grado di guarire.

*Giuseppe Maria Meloni, portavoce dell’iniziativa Piazza delle Carceri e della Sicurezza del cittadino

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