FREEDOM

Dalla parte di Uber, senza se e senza ma

I tassisti chiedono al sindaco di emanare un'ordinanza che vieti a Torino il servizio. La politica non privi un’azienda straniera del suo diritto di esercitare un’attività lecita, gli autisti di un’opportunità di lavoro e i torinesi di una straordinaria novità - di R. de CARIA

Il dibattito su Uber, che vedrà impegnati oggi il consiglio comunale e il sindaco di Torino, è una di quelle occasioni da cogliere al volo. Capita davvero di rado, infatti, di avere davanti una questione in cui è così facile distinguere dove sta il giusto e dove lo sbagliato, chi ha ragione e chi ha torto. Ad aver ragione, e a meritare di essere difesi, prima ancora che l’azienda Uber e i suoi autisti, sono i consumatori. I tantissimi torinesi che hanno iniziato ad utilizzare questo fantastico servizio dai prezzi straordinariamente vantaggiosi non meritano infatti di vedersi preclusa l’opportunità di continuare a goderne, da parte di una politica capace di vedere soltanto il proprio orticello elettorale.

 

Se la destra ex missina, ancora nostalgica del ventennio fascista e dei noti fasti a cui condusse il Paese, è sempre stata favorevole al corporativismo, e quindi vicina alla casta dei taxisti; se la Lega, ormai su posizioni lepeniste, attacca qualunque forma di concorrenza, tanto più se proveniente dall’estero; e se la sinistra più a sinistra, tradizionalmente nemica della libertà individuale, ha sempre difeso i monopoli di origine statale come è quello dei taxi, stupisce però il silenzio che ha sin qui caratterizzato tutto il resto dello schieramento politico.

 

Dov’è il centrodestra moderato, riformatore e sedicente liberale, quello che si è riunito di nuovo in questi giorni per lanciare il guanto di sfida ai rossi, ma non è neanche capace di cavalcare una battaglia giusta, in linea con quelle che dovrebbero essere le sue corde, e che potrebbe mettere in difficoltà l’attuale amministrazione?

 

E dov’è il Pd torinese, in tutte le sue millemila anime, che pure dovrebbero essere quasi tutte pro-Uber? Dove sono i residui seguaci di Bersani, ovvero di colui che più di ogni altro in Italia ha tentato, pur tra errori e uno sgradevole retrogusto di lotta di classe, di liberalizzare i servizi? E dove sono i renziani, della prima, ultima o ultimissima ora, che l’ultima volta che ho controllato volevano rottamare tutte le vecchie consorterie, ma poi esitano a disturbare una di quelle che hanno storicamente goduto di più privilegi, come i taxisti? Perché nel Pd ad esporsi sono quasi solo (pochi) esponenti, pur di primo piano come Giuseppe Catizone, che vengono umanamente e politicamente da realtà diverse da Torino?

 

Possibile che il calcolo elettorale renda tutti pavidamente afoni di fronte a questa vicenda? Non c’è proprio nessuno che abbia il coraggio di difendere per una volta il povero consumatore di fronte a una lobby che continua a fregarlo?

 

E non mi si dica che “Uber è illegale”. Non lo è, e prima o poi verrà riconosciuto, non foss’altro perché Uber esercita un’attività economica in maniera del tutto legittima, con transazioni tutte registrate e su cui quindi paga le tasse fino all’ultimo centesimo, e senza che vi sia una legge che le vieti di fare quello che fa (e finché vige il principio, qualche anno fa messo perfino nero su bianco in un testo di legge, che tutte le attività economiche sono lecite finché non ci sia una norma espressa che le proibisce, dovrebbe bastare questo a fugare ogni dubbio).

 

Ma anche qualora uno volesse ammettere, per puro spirito argomentativo, che ci sono dei profili di contrarietà alla legge, non servono Antigone o le solite leggi razziali per ricordarci che le leggi in vigore possono essere ingiuste. Per cui, se davvero ci fosse qualche regola che ostacola Uber, ci si adoperi per cambiarla piuttosto che difendere l’ordine costituito come l’ultimo dei kapò.

 

E se proprio non si vuol ignorare la rabbia dei taxisti, tenendo conto dell’affidamento che hanno fatto, in cambio di un sacco di soldi, nella promessa della politica di tenerli al riparo di qualunque concorrenza, ci si sforzi di inventare qualche soluzione come quella proposta tempo fa, in epoca pre-Uber, dall’Istituto Bruno Leoni, di regalare una licenza ai già possessori, pur di allargare il mercato.

 

Ma la politica non privi un’azienda straniera del suo diritto, garantito dalle norme europee e italiane, di esercitare un’attività lecita; gli autisti di un’opportunità di lavoro onesto e utile, particolarmente preziosa in questi tempi di crisi; i torinesi di una straordinaria novità che a ben vedere non fa neppure veramente concorrenza ai taxi, perché con i suoi prezzi così bassi e il suo modello di business innovativo semplicemente crea un mercato e una domanda che i taxi non coprivano.

 

E da ultimo, la politica sin qui silente, di destra e sinistra, non si scordi di turisti e uomini d’affari di altre città e Paesi, che vengono a Torino e grazie a Uber possono considerarla una città moderna, al passo coi tempi, aperta alle innovazioni e agli investimenti. Vietarla equivarrebbe a piombare nel provincialismo e annullare tanti sforzi fatti per aprire Torino al mondo e far venire il mondo a Torino.

 

Sindaco Fassino, ci pensi bene: se deciderà di ricandidarsi, con questo centrodestra la sua conferma è già al sicuro. Se non si ripresenterà, le importa ancora meno perdere il consenso dei taxisti. In entrambi i casi, quindi, è libero di fare la scelta giusta. Ovvero quella di punire i tassisti violenti, e consentire che le vetture di Uber continuino a circolare per le strade di Torino, facendo accordi con quanti più teatri e esercizi commerciali possibile e onorando come si deve il mai dimenticato slogan “always on the move”.