Dal tribunale al palcoscenico

Da bambina sognava il teatro, inventandosi i copioni di vere e proprie commedie. A vent’anni studiava giurisprudenza, decisa a diventare magistrato. A lungo si è sentita “divisa a metà”: da un lato la legge, dall’altro l’arte; qui la testa, là il cuore. Finché non ha deciso che le sue due anime potevano, anzi, dovevano convivere. E magari pure fondersi, trasformando la passione in un lavoro. Eleonora Frida Mino oggi scrive e interpreta spettacoli teatrali sui temi della legalità e della lotta alla criminalità organizzata. Lasciate alle spalle la toga e le aule del tribunale, gira l’Italia da Nord a Sud per portare in tour le sue rappresentazioni (ma con il cuore a Torino, dove è nata e cresciuta e dove – tra una recita e l’altra – abita insieme col marito).

«Mai avrei pensato di fare l’attrice e l’autrice per vivere» racconta. «Vengo da una famiglia di giuristi e la scelta della facoltà di giurisprudenza e della scuola di magistratura poi sono state inclinazioni naturali. Il diritto mi interessava, mi è sempre piaciuto. Sono diventata avvocato e per qualche anno ho praticato la professione forense. Ma, parallelamente, ho continuato a coltivare la mia grande passione per le scene: mi sono diplomata alla Scuola di Teatro e Doppiaggio di Torino diretta da Mario Brusa, ho studiato danza e recitazione. Per un po’ ho calcato due palcoscenici: le aule del tribunale e il teatro, che nel frattempo era diventato un lavoro part-time. Alla fine ho capito che dovevo fare una scelta».

La sua famiglia come l’ha presa? «Beh, sono stati i miei genitori a farmi innamorare del teatro, portandomi sin da bambina a vedere spettacoli, opere liriche. E dico sempre che hanno la loro bella parte di responsabilità, avendomi dato i nomi di due artiste straordinarie – Eleonora come la Duse, musa di D’Annunzio e prima vera diva del palcoscenico e Frida come la pittrice messicana Frida Kalho –. Certo sino ad allora in casa era visto come un intrattenimento culturale, non come un mestiere da intraprendere. Ma ho messo anche qui la grinta e la determinazione con cui avevo portato avanti gli studi. E i risultati non si sono fatti attendere».

Quando ha deciso di portate in scena la legalità e l’antimafia? «è successo per caso, anche se non credo alle coincidenze, più al destino. Ho cominciato come direttore artistico della Compagnia Bonaventura, scrivevo e mettevo in scena spettacoli e progetti educativi indirizzati ai ragazzi. Un giorno, mentre passeggiavo davanti ad una bancarella di libri, me ne è letteralmente caduto uno sui piedi: era un libro per bambini scritto dal giornalista Luigi Garlando, “Mi chiamo Giovanni”, storia di un bambino siciliano che in classe assiste ad un atto di bullismo e fa finta di niente. Il papà, anziché punirlo, lo porta in giro per la Sicilia e gli racconta di un altro Giovanni, il giudice Falcone, e di che cosa sia l’omertà. Avevo finalmente trovato il modo per raccontare l’amore per la giustizia ai ragazzi. Ho scritto il giorno stesso all’autore che, senza neppure conoscermi, mi ha concesso gratis i diritti del libro e a Maria Falcone, la sorella del magistrato, che ha subito voluto incontrarmi e sostenere il progetto. Ne è nato “In viaggio con Giovanni” una piece-monologo che ho replicato in 120 rappresentazioni, nelle scuole e nei teatri di tutto il paese». Così, con l’aiuto di una scenografia modulabile «che sta tutta nel bagagliaio di un’auto» e di pochi ma fidatissimi collaboratori sui testi e dietro le quinte, è nato anche l’altro spettacolo del suo cartellone, ancora una volta tratto da un romanzo di Garlando, “Il maestro: storie di judo e di vita”, dedicato all’attività del maestro di arti marziali Gianni Maddaloni, che nel quartiere napoletano di Scampia allontana i ragazzi dalla strada e della camorra per portarli sul tatami.

Ogni rappresentazione è seguita da un dibattito che permette a ragazzi, genitori e insegnanti di riflettere sul significato di queste storie, che Eleonora porta in scena dopo una lunga preparazione e uno studio che sono gli stessi con cui si preparerebbe ad un’udienza. Ora è pronta per la sua nuova fatica, “Antigone 3.0” tre reading teatrali in programma il 13 gennaio, il 3 febbraio e il 3 marzo alla Casa Teatro ragazzi e Giovani di Torino. Accompagnata da musica e illustrazioni, l’attrice-autrice porterà in scena ogni sera due storie contrapposte di donne di mafia; donne che l’hanno abbracciata come Lucia Riina, figlia del boss, o combattuta come Denise Cosco, figlia del boss della ‘ndrangheta Carlo Cosco e di Lea Garofalo, testimone di giustizia e vittima della ‘ndrangheta.

Che farà “da grande”, Eleonora Frida? Tornerà a fare l’avvocato? «No, non credo ne sarei più capace! Continuerò a raccontare storie, magari con linguaggi diversi dal teatro». E a chi, come ha fatto lei, vorrebbe mollare tutto per inseguire una passione, cosa consiglia? «Di seguire il cuore, sempre. La crisi ci ha insegnato che il lavoro “sicuro” non esiste più. Fare un lavoro che ami vuol dire non essere mai stanca e non far mai mancare  tutto il tuo impegno in quello che fai. Io ho fatto questa scelta e sono felice».

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