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Appendino è stata una parentesi, ma il centrosinistra non si crogioli

Cinque anni fa l'esponente grillina intercettò malessere sociale e voglia di cambiamento e, aiutata dalla destra, conquistò il Comune. Della sua stagione politica non resterà nulla. Il compito di Lo Russo: ricucire Torino. L'analisi del professor Natale

“Quella di Chiara Appendino non è stata più che una parentesi nella storia di Torino ormai stabile nelle mani del centrosinistra”. Una parentesi dolorosa e deludente per molti. Le urne hanno confermato le critiche che hanno accompagnato fin dai primi giorni l’amministrazione pentastellata, quella che il politologo Paolo Natale, docente alla Statale di Milano, inserisce come incidentale in un percorso che l’elezione di Stefano Lo Russo ha riportato sui binari da cui per decenni non è mai uscito, pur cambiando attori e protagonisti, il capoluogo piemontese.

Chi per cinque anni si è opposto senza risparmio a quella che lei definisce una parentesi, ha un nome e un cognome: Stefano Lo Russo. Nel suo ruolo di capogruppo del Pd non ne ha risparmiata una ad Appendino. La vittoria è anche figlia di quell’opposizione che non si è sminuita neppure di fronte al governo giallorosso e ai tentativi del Nazareno di portare anche a Torino un’alleanza Pd-Cinquestelle cui Lo Russo si è opposto in maniera netta e coerente? 
 “Lo Russo ha fatto sempre un’opposizione molto dura nei confronti di Appendino, quindi l’idea di un accordo sembrava meramente elettoralistica e viste le condizioni credo non fosse neppure corretto farlo. Quando parlo di parentesi mi riferisco alla storia politica della città, quella di Chiamparino, Fassino, Castellani che oggi, pur con i cambiamenti che ci sono, riprende con Lo Russo. Cinque anni fa Appendino vinse perché ebbe il largo appoggio del centrodestra”.

Matteo Salvini allora disse: se abitassi a Torino voterei Appendino, salvo poi tornare sui suoi passi. Ma il messaggio venne raccolto.
“Proprio così. Per mandare a casa Fassino e il Pd gran parte degli elettori di centrodestra contribuirono alla vittoria dei Cinquestelle, o meglio di Appendino”.

Era anche un M5s diverso da quello di oggi.
“Certo, però più che la loro forza fu l’aiuto del centrodestra a fare la differenza”.

Questa volta, però, il favore i grillini non lo hanno restituito. Il centrodestra che a Torino aveva in Paolo Damilano un canididato rispettato e rispettabile, si è fermato al di sotto del 41%. Questo nonostante l’imprenditore fosse ancora poche settimane prima del voto davanti a Lo Russo. Come spiega la remuntada del nuovo sindaco?
“È vero, all’inizio Lo Russo era indietro. Però c’è questa legge ferrea, pressoché ineludibile, in base alla quale più le città sono grandi, meno la gente va a votare, più cresce la possibilità che il centrosinistra vinca. A Torino c’è stata la conferma”.

I sondaggi, fino a poco prima del voto, dicevano altro. Come lo spiega?
“È vero anche questo. Rispondeva molta più gente di quella che poi sarebbe andata ai seggi”.

Perché gli elettori del centrodestra sono rimasti in parte considerevole a casa al momento del ballottaggio? Non ha funzionato il candidato o la proposta dei partirti?
“Un po’ tutt’e due. Poi l’anima progressista di Torino è venuta fuori. Teniamo conto che nei sondaggi molti pensano e riflettono su un quadro nazionale, più politico, poi il voto è improntato all’amministrazione locale”. 

Se il centrodestra anziché puntare su un civico avesse puntato su una figura politica avrebbe avuto più chance?
“Probabilmente sì, ma il risultato finale non sarebbe cambiato. Puntando molto sui temi più propri del centrodestra, come la sicurezza e l’immigrazione, le possibilità sarebbero potute essere maggiori, ma ripeto molto difficilmente ci saremmo trovati con un risultato, al di là delle percentuali, diverso”.

Damilano ha cercato di marcare il suo civismo, allontanandosi un po’ dai partiti, salvo poi cambiare ancora atteggiamento in alcune occasioni come la visita al campo nomadi insieme a esponenti di Fratelli d’Italia. È possibile che invece di pescare voti al centro ne abbia persi a destra?
“È assolutamente possibile. L’idea che lui si fosse sganciato dai partiti, un po’ ha deluso gli elettori di centrodestra che hanno avuto meno stimoli per andare a votare. Le parole d’ordine del centrodestra sono state poco utilizzate, quindi con minore capacità di mobilitazione di una parte dell’elettorato che le attendeva”.

Torniamo sul campo opposto e riavvolgiamo il nastro a questa primavera, alla missione di Francesco Boccia per conto del Nazareno per convincere i riottosi del Pd, primo tra tutti proprio Lo Russo, a stringere un’alleanza con i Cinquestelle. A giochi fatti e risultato ottenuto, ha avuto ragione chi ha resistito alle pressioni del livello nazionale del partito?
“Col senno di poi è difficile dirlo. I fatti non possono che dare ragione. Non è detto, tuttavia, che la necessità di sconfiggere le destre avrebbe potuto anche far digerire un boccone indigesto per molti”.

Oggi, però, c’è la riprova che il centrosinistra può vincere anche senza i Cinquestelle. O No?
“Certo, a Torino come a Milano. Va detto che a livello locale è un conto, diverso è valutare la situazione sul piano nazionale. Sala era talmente forte…”

Sala era il sindaco uscente, Lo Russo era il capogruppo che aveva fatto per cinque anni opposizione ad Appendino, un po’ di differenza c’è.
“Lo Russo ha fatto un’ottima campagna, ha ottenuto un ottimo risultato probabilmente superiore alle sue stesse aspettative. Si può considerare orgoglioso di quello che ha fatto”.

Dalle urne è uscito un dato molto pesante, quello dell’astensione. Il nuovo sindaco e il centrosinistra nella loro azione di governo della città dovranno tenerne conto e agire anche per recuperare questa ampia parte della cittadinanza, specie nelle periferie?
“Certo che sì. Il problema è come farlo, con quali proposte”.

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