Novara, indignarsi non basta

Dopo aver sfilato in quell’orrenda, inaccettabile manifestazione che ha paragonato i No Green Pass agli internati nei campi di concentramento nazisti, la signora (titolo che non si nega a nessuno) Giusy Pace spiega che non tornerà in ospedale perché non ha il Green Pass.

Lei in ospedale non deve tornarci più, non solo per questo. Non deve tornare al suo posto di lavoro anche se una tardiva resipiscenza o più concrete ragioni economiche la inducessero a rivedere la sua posizione mostrando il documento che attesta di aver porto il braccio verso una siringa, non certo verso il tatuaggio di un numero dinanzi al quale dovrebbe inginocchiarsi senza attesa di perdono.

Quello tra chi soffre e ha bisogno di cure, tra chi lavora senza risparmio e osserva leggi e regole, non è il suo posto. Fatichiamo a pensare ne esista uno alternativo, certo non nell’Azienda Universitaria (quale insegnamento trarre da chi sfila oltraggiando la Memoria?) Ospedaliera di Novara e nella Sanità pubblica piemontese dalla quale la signora continua a percepire tutt’oggi lo stipendio perché in ferie.

Se non si trattasse di qualcosa di orribile verrebbe da evocare la non rara immagine dei rivoluzionari col culo al caldo. Protestare contro le regole, violare le leggi (il vaccino per i sanitari è un obbligo, così come il Green Pass) sapendo che il 27 arriva lo stipendio. E magari sventolare proprio il rispetto della legge se qualcuno gli contestasse proprio quelle ferie strategiche. L’Aso non può consentire che la sua immagine, quella dei dipendenti rispettosi delle leggi, venga sporcata da quell’orrido, indecente, spettacolo di cui la signora conferma esserne organizzatrice oltrechè partecipante, arrampicandosi inutilmente sugli specchi di fronte all’unanime raccapriccio e condanna con spiegazioni insulse.

Le parole dure e chiare del sindaco Alessandro Canelli, le sole ascoltate da un esponente della Lega mentre i suoi compagni di partito erano impegnati nel tiro al piccione salviniano contro la ministra Luciana Lamorgese per il rave party di Torino, sono la condanna forte, dovuta e certamente sentita della città, che merita risposta. 

La Regione – e lo stato d’animo dell’assessore alla Sanità Luigi Icardi, ieri andava deciso in questa direzione di estrema durezza e tempestività – non può passare oltre questo episodio (per quanto di sua competenza indiretta e quindi in merito alla dipendente) con una ramanzina. L’Aso deve rispettare le regole, si sa, ma non si limiti a propinare i soliti provvedimenti, con lunghi e farraginosi pur obbligati passaggi nelle commissioni di disciplina, i sindacati e quant’altro che si risolve poi spesso con un buffetto. Quelle immagini hanno sporcato quella del Piemonte, della sua sanità, dei suoi inscalfibili valori democratici. Anche di questo va chiesto conto. 

Gianfranco Zulian, il direttore generale, è persona seria. Stavolta sia anche duro, inflessibile, rapido. Prenda subito un provvedimento che non può essere né tentennante, tantomeno morbido. Il più possibile severo. Se chi ha sfilato oltraggiando le vittime della Shoah contesterà la sua decisione invocando leggi che alla bisogna non rispetta, il vertice dell’azienda avrà tutto il sostegno che merita. Agisca in fretta, però.

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