INTERVISTA

Fassino allarga il campo ai civici e spinge sul proporzionale

Alleanza non solo con il M5s. Il Pd deve coinvolgere esperienze politiche (e liste) locali, protagoniste del successo alle recenti amministrative. Decretare la fine del bipolarismo forzato. E in vista del 2023 "il Piemonte è assolutamente contendibile e lo riconquisteremo"

Nel campo largo, aperto dal Pd, ben più dei Cinquestelle sono le liste civiche a crescere (come confermato dal recentissimo voto amministrativo) e occuparne importanti porzioni con segnali chiari ai partiti da parte di un elettorato per nulla disinteressato alla politica, ma che alla politica chiede altro. C’è, pure, nell’agenda ancora scritta a matita la nuova legge elettorale con sempre più forti pulsioni verso un ritorno al proporzionale, con la crescente consapevolezza di quanto il maggioritario abbia mostrato e mostri i suoi limiti e, non di meno, le sue forzature a dispetto della stabilità, vessillo dei suoi sostenitori. E poi c’è un ritorno a un centrismo, nel quale si collocano non poche formazioni politiche, anch’esso con un’identità da ridefinire.

Piero Fassino è reduce dal primo appuntamento di discussione politica in seno al Pd, in campo largo, ovvero la tre giorni di Area Dem, la corrente di cui è fondatore assieme a Dario Franceschini, a Cortona cui oltre al segretario Enrico Letta ha partecipato anche il capo politico dei grillini Giuseppe Conte. L’ex segretario Ds e sindaco di Torino, oggi presidente della Commissione Esteri della Camera, ha le idee piuttosto chiare sulla road map dei prossimi mesi per il suo partito. 

Onorevole Fassino, il voto delle comunali nelle principali città ha fornito una fotografia del campo largo in cui spiccano assai più le liste civiche che non il M5s, principale vostro alleato e destinatario primo della apertura del campo. Se lo aspettava o ne è rimasto sorpreso?
“Il voto amministrativo è sempre diverso da quello politico, perché incidono in modo rilevante i contesti locali, come sono organizzate le forze politiche in ogni territorio, che personale politico c’è. Insomma, occorre sempre guardare ai risultati delle elezioni amministrative come espressione di un quadro articolato di situazioni. Il Pd si è mosso ovunque per realizzare il campo largo, tenendo conto delle diversità delle situazioni locali e con una costante: coinvolgere nel campo largo liste civiche”.

Un segnale per i partiti? 
“Innanzitutto quelle liste sono un elemento di ricchezza, che non ha sottratto voti al Pd o ai partiti del centrosinistra, ma hanno aggiunto consensi che forse ai partiti non sarebbero arrivati. Il caso di Verona con la lista Tommasi è quello più clamoroso, ma è accaduto pressoché ovunque. Nel passato le liste civiche si presentavano come neutre politicamente, adesso non è più così. Si collocano dentro un campo, sia quello di centrosinistra, sia quello di centrodestra. La presunta neutralità politica che nel passato era la loro caratteristica, mi pare sparita a vantaggio di una scelta di collocazione”.

Qual è la ragione del successo diffuso di queste proposte politiche?
“È evidente che queste liste raccolgono un voto di elettori e elettrici che non si identificano nei partiti politici e tuttavia vogliono essere partecipi delle elezioni e della vita politica del Paese. Ripeto, le liste civiche oggi non vengono votate in virtù di una neutralità che non c’è più. I loro sono elettori hanno fatto una scelta consapevole e di campo. È vero, c’è un messaggio ai partiti: devono aprirsi di più alla società per essere capaci di intercettare e di corrispondere aspettative di chi oggi non sentendosi rappresentato da loro, sceglie le liste civiche”.

La scissione di Luigi Di Maio è un problema per il campo largo del Pd? Conte e Di Maio divisi, con stracci che volano, uniti nel campo largo, è possibile?
“No non è un problema. Noi parliamo di campo largo rivolto a tutte la forze politiche che si collocano in un’area progressista. Di Maio fin dall’annuncio della scissione ha collocato la sua nuova forza politica all’interno del campo progressista. Così come ancora nell’incontro di Cortona, Conte ha ribadito che il M5s si colloca nello stesso campo. Che peraltro nella nostra impostazione è ancora più largo, rivolgendosi alle liste civiche e cercando l’incontro anche con Calenda, Renzi e +Europa. In molte città questo campo largo ha incluso anche queste forze”.

Però Renzi e Calenda a Cortona non li avete invitati. Opportuno tenere ancora le distanze?
“A Cortona abbiamo invitato i leader delle forze strutturalmente nostre alleate, Leu e M5s. Azione, Italia Viva e +Europa tendono a collocarsi più verso un ambito centrista, pur sempre progressista. Noi li consideriamo degli interlocutori in attesa che maturino una scelta di campo”

A proposito di centristi, stiamo facendo un viaggio a ritroso verso un grande centro, o piuttosto va rivisto il concetto stesso di centro? Lei che ha vissuto quello della Prima Repubblica che centrismo vede oggi e all’orizzonte?
“Se per centro si intende un luogo neutrale politicamente non ha più senso. Se invece, si intende la collocazione di formazioni che si rivolgono a settori di elettorato di profilo moderato allora un senso ce l’ha. Abbiamo visto in questi anni un centrismo che guarda a sinistra e uno che guarda a destra. È la dimostrazione che il centro come luogo politico, a prescindere dalla destra e della sinistra, non c’è più. Anche il centrismo, insomma, si profila politicamente”.

Parliamo di legge elettorale. Il maggioritario ha fatto il suo tempo e si profila un ritorno al proporzionale?
“Penso che in questi anni abbiamo vissuto un bipolarismo forzato. Tanto è vero che entrambe le coalizioni sono percorse da molte distinzioni e divisioni. Tenere insieme con un meccanismo elettorale forze politiche che obiettivamente si profilano con contenuti e programmi distinti, è una forzatura. Credo che il ritorno al proporzionale restituirebbe agli elettori una fotografia più corretta dell’identità delle varie forze politiche, consentendo di scegliere con maggiore chiarezza. Alle elezioni ogni partito pesa quanto vale e poi all’indomani del voto sulla base di convergenze programmatiche si fanno le maggioranze, come è stato nel nostro Paese per un lunghissimo periodo”.

Chi avversa il proporzionale, agita sempre lo spauracchio dell’instabilità e dell’ingovernabilità. Una tesi che non regge?
“Direi che è l’opposto. Con il sistema di bipolarismo forzato abbiamo avuto più di centotrenta parlamentari che hanno cambiato collocazione politica. Non è vero che il proporzionale determina effetti di instabilità, semmai è il contrario. Probabilmente con una legge proporzionale i cambi di casacca sarebbero stati meno di quanto sono stati”.

Ce la sí farà a fare una nuova legge prima delle elezioni?
“Non lo so. È un problema di volontà politica. Molti invocano il proporzionale, ma fino ad ora non si sono compiuti atti in questa direzione. Credo che un passaggio in Parlamento per una chiarificazione sia necessario. Almeno ogni partito dirà chiaramente cosa vuole e si verifica quale spazio c’è per una diversa legge elettorale”.

Ci sono contatti tra le ali dialoganti del Pd e della Lega proprio per ragionare su un sistema proporzionale. La stupisce? È una buona cosa?
“La legge elettorale è la regola del gioco politico e va scritta condividendola con tutti i giocatori o comunque con la più ampia maggioranza possibile. Non si può ragionare in termini di maggioranza politica, ma di ricerca della più larga convergenza. Quindi i contatti tra partiti non sono finalizzati ad alleanze, visto che tra Lega e Pd non c’è quasi nulla su cui vi sia accordo, però se si vuole adottare una nuova legge, fa parte delle regole cercare il consenso tra tutte le forze politiche”.

L’onda lunga che ha portato alla vittoria del centrosinistra in quasi tutte le principali città del Piemonte è partita con il successo di Stefano Lo Russo a Torino? 
“Abbiamo avuto in pochi mesi la vittoria di Lo Russo a Torino, il ritorno del centrosinistra alla guida di Alessandria con Giorgio Abonante, la conferma con un bellissimo risultato di Patrizia Manassero a Cuneo, la conferma in importanti comuni dell’hinterland torinese da Grugliasco a Chivasso. Direi che anche il Piemonte ha contribuito a questo successo elettorale del centrosinistra”.

Un buon viatico per le regionali del 2024?
“Mancano due anni, ma certamente questi risultati dicono che la Regione Piemonte è assolutamente contendibile. E noi lavoreremo per riconquistarla”. 

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