Pagare le tasse, un incubo

In Italia quando si parla di prelievo fiscale prevale l’approccio ideologico, tipicamente, riprendendo lo slogan di un vecchio manifesto di Rifondazione Comunista “Anche i ricchi piangono”, ovvero l’idea che le tasse debbano in qualche modo punire chi ha di più con un malcelato sostrato di invidia per la fortuna o bravura altrui. Se si affrontasse il problema in maniera pragmatica ci si avvedrebbe che tasse e imposte sono solo le risorse che lo Stato preleva dalle tasche dei cittadini per erogare dei servizi e pertanto non dovrebbero avere nessun intento punitivo, ma piuttosto cercare di rispondere ai principi di efficienza, di minor danno possibile per il cittadino e di neutralità economica. Al cittadino dovrebbe importare poco che il ricco venga tartassato o meno, ma piuttosto di quanto paga in rapporto alla qualità e quantità dei servizi. Dovrebbe essere più razionale essere contenti di potersi comprare un’auto nuova che vedere multato il vicino con la Lamborghini. In Italia si ha la precisa sensazione che per molti è preferibile dare addosso ai ricchi piuttosto che vedere migliorata la propria posizione: si preferisce che sia sequestrata la fuoriserie del vicino, che avere un’auto nuova.

Da questo punto di vista l’imposizione fiscale dovrebbe essere guidata dalla facilità e dall’economicità del prelievo cominciando da una legislazione più snella e comprensibile fino alla riduzione della burocrazia con l’abolizione e semplificazione di moduli e documenti vari. Pensate all’assurdità della tassazione che ti impone di pagare un professionista che ti spiega quanto devi pagare e rimanendo nel dubbio che anche il professionista si sia sbagliato. Si paga il commercialista, poi le tasse e infine qualche multa che è sempre probabile. Non si capisce perché molte cose non si possano semplificare riducendo il lavoro di contabili e commercialisti e semplificando la vita dei cittadini.

Per esempio, nelle grandi città esistono condomìni molto grandi e capita spesso che bisogna fare dei lavori straordinari di cui si può richiedere la detrazione in dieci anni. Il problema è che spesso capita che dividendo la spesa fra i vari condòmini la cifra si riduce a due o trecento euro, di cui si porta in detrazione il 50% ovvero 150/200 euro che in dieci anni si riducono a 15 o 20 euro all’anno. Per portare la cifra in detrazione bisogna fare un’apposita pratica che l’amministratore giustamente si farà pagare. Nei condomìni vecchi capita che ogni 2-3 anni si facciano lavori e si ottiene una dichiarazione dei redditi lunghissima con il rischio di sbagliare per ottenere una detrazione di poche decine euro l’anno. A questo aggiungete che molti condomìni hanno dismesso le portinerie e affittato l’appartamento che spettava alla famiglia del portinaio e il famoso condòmino si troverà a dichiarare un affitto di qualche decina euro all’anno con un ulteriore ampliamento della dichiarazione dei redditi. Alcuni commercialisti invitano i propri clienti a portare meno cartacce nel senso di evitare di portare in detrazione piccole cifre per non incorrere in errori. Ho fatto questi esempi che sono frequenti e riguardano un po’ tutti, per illustrare la complessità della materia anche per il semplice dipendente con casa e mutuo. Ovviamente se si ha un’attività imprenditoriale la complessità esplode. Perché non cominciare a semplificare eliminando le voci sotto le 100 euro dalla dichiarazione dei redditi?

A questa complessità si aggiunge anche una mancanza di spirito pratico del burocrate: che senso ha pagare un F24 con voci di pochi centesimi? Non si potrebbero arrotondare le cifre sotto un euro?

Queste sono solo alcuni esempi di un rapporto malato fra Stato e cittadino in cui lo Stato vedo nel cittadino sempre qualcuno pronto ad imbrogliare. Un’altra semplificazione possibile sarebbe quelle di ridurre gli anni di prescrizione dagli attuali 5 a 3 in modo da rendere meno problematica la conservazione dei documenti. Non per usare un cliché comune, ma oggi il mondo corre veloce e cinque anni sono un’eternità. Come si fa a rintracciare movimenti di cinque anni fa? Ormai i pagamenti si fanno online e a volte sfugge di conservare la ricevuta elettronica o di stamparla anche perché siamo sommersi dai pagamenti e andare a rintracciare un pagamento diventa un problema. E se si è cambiato banca c’è un ulteriore complicazione: alla propria banca si possono chiedere vecchi documenti, ma ad una banca con cui non si hanno più rapporti diventa più complicato. Aggiungiamo che chiedere un pagamento dopo cinque anni sembra un po’ eccessivo. Non credo che un creditore privato aspetterebbe cinque anni per chiedere i soldi che gli spettano.

A volte si ha sensazione che alcuni provvedimenti siano fatti più per tormentare il cittadino che per una reale necessità. Probabilmente in questo influisce il fatto che per il burocrate vivere in mezzo alle carte è la quotidianità e pensa che sia un fatto normale per tutti gli altri.

Una semplificazione di tutta la materia è necessaria, ma si può incominciare da queste piccole cose per rendere la vita più tranquilla al cittadino.

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