L'ultima scommessa dei Popolari

Dopo il cambiamento radicale dell’identità, della prospettiva e del ruolo del Partito democratico – per bocca dei suoi stessi dirigenti – da partito di centrosinistra a “partito della sinistra italiana” e con la scarsa, per il momento, cittadinanza all’interno del campo della destra, è gioco forza per i Popolari aprire una nuova fase di impegno politico, culturale ed organizzativo. Una fase che non significa rimettere in piedi esperienze politiche che in questi ultimi anni, dopo l’eclissi della Dc, la fine del Partito Popolare Italiano di Gerardo Bianco, Franco Marini e Mino Martinazzoli e della Margherita di Rutelli, sono semplicemente fallite perché politicamente inconsistenti ed elettoralmente irrilevanti.

La vera scommessa, adesso, e alla luce dei profondi cambiamenti che hanno caratterizzato la politica italiana soprattutto dopo la vittoria del centro destra alle elezioni del 25 settembre scorso, è quella di favorire un processo di “ricomposizione” dell’area Popolare e cattolico sociale per rilanciare nel nostro paese una “cultura e una politica di Centro” che purtroppo, dopo l’irruzione del populismo grillino, è stata azzerata. Un Centro, però, fortemente dinamico, moderno, riformista e di governo. Un Centro che, per poter decollare, richiede però l’apporto decisivo e significativo della cultura popolare e cattolico sociale. Oltre ad altre apporti – come ovvio – come il filone liberal democratico, ambientalista e liberal/repubblicano. Del resto, quando nella storia politica italiana si parla di un Centro dinamico e di governo, il pensiero corre immediatamente alla esperienza cinquantennale della Democrazia Cristiana e, soprattutto, a tutti quei cattolici democratici e popolari che, sparsi nei vari partiti, hanno sempre coltivato e condizionato l’evoluzione della politica italiana con quegli ingredienti che storicamente sono riconducibili ad una “politica di Centro”.

Comunque sia, si tratta di un processo di “ricomposizione” dei Popolari che adesso sale dal basso e che quasi si impone di fronte alla progressiva evaporazione dei Popolari e degli ex Popolari nel Pd – salvo per coloro che sono stati, e per l’ennesima volta, beneficiati del seggio parlamentare con i propri “cari” – e alla irrilevanza, per il momento, in altri soggetti politici. È del tutto scontato, al contempo, che ogni esperienza Popolare nei vari partiti va comunque rispettata – a conferma del legittimo pluralismo che circola anche in quest’area culturale – anche se in alcuni partiti a cui ho fatto riferimento poc’anzi è ormai una presenza puramente ornamentale e del tutto ininfluente. Una “ricomposizione” che, però, è decollata regione per regione in questi ultimi mesi attraverso una fitta rete di relazioni e di collegamenti organizzativi e che culminerà con una “convention” nazionale a fine febbraio a Roma. Una “convention” che porrà al centro del dibattito l’attualità e la modernità della cultura popolare di ispirazione cristiana e, di conseguenza, la necessità di ridarle cittadinanza attiva nella concreta dialettica politica italiana. Se è vero, com’è vero, come diceva un grande leader democratico cristiano, Ciriaco De Mita, poco prima della sua scomparsa, che “l’unica cultura politica uscita vincente dal novecento è il popolarismo di ispirazione cristiana”.

Ecco perché favorire e promuovere questo processo di “ricomposizione” politica, culturale ed organizzativa dei Popolari dopo il profondo cambiamento dell’orizzonte politico italiano, adesso richiede un salto di qualità. Un elemento che, al di là di ogni altra valutazione politica sempre opinabile, con la riscoperta della cultura popolare, seppur riaggiornata e rivista, può contribuire in modo significativo a rilanciare la stessa credibilità della politica, il ruolo dei partiti e la valenza strategica delle rispettive culture politiche. Insomma, un rinnovato protagonismo politico, culturale e programmatico di una cultura di cui la stessa politica italiana non può più farne a meno, dopo la stagione squallida, grigia e decadente del populismo, dell’antipolitica e del qualunquismo.

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